Andrea Bernabini

La voglia di scoprire sempre nuove forme di espressione mi ha fatto approdare anche nella video Arte, ma è solo attraverso la fotografia, ancora oggi, che trovo il vero canale di comunicazione del mio io... la mia curiosità e la sete di conoscenza sono stati il motore della mia costante ricerca sulle arti visive, un settore che negli ultimi decenni ha avuto una vera e propria esplosione, successo che mi ha permesso di poterne fare la mia professione vivendo della mia Arte”


Angelo Zzaven: Andrea, alcuni giorni fa ho incontrato sul web alcune tue immagini della serie “Mnesia” che mi hanno particolarmente colpito, da lì è nata la mia curiosità per il tuo lavoro e l'idea di questa intervista... ma avremo modo di parlarne, per iniziare vorrei che mi parlassi di te: chi sei, cosa fai, come arrivi alla fotografia?

Andrea Bernabini: Grazie Angelo della tua attenzione e a quella dei tuoi lettori. Sono un Artista visivo, sperimentatore da anni di nuove tecnologie, e privilegio nel mio linguaggio artistico il video e la fotografia da cui provengo per formazione. Ho realizzato e esposto i miei lavori in Italia e all’estero in spazi come Flash Art Museum Trevi, Museo dell’informazione e Arte contemporanea Senigallia, Triennale di Milano, Meresheme Monaco, Art museum a Sharjah e Katara Village a Doha. In passato sono stato sponsorizzato dalla fondazione Polaroid per le mie ricerche e manipolazioni innovative su materiali Polaroid professionali. Inoltre, sono stato recensito da numerose riviste specializzate come Tema Celeste, Zoom e Flash art, Gente di Fotografia, Otto e mezzo.

Guardando ancora più indietro, la verità è che mio padre fotografava tutto. Sono nato immerso in grandi album pieni di fotografie e fin da piccolo ho adorato come censiva e catalogava la nostra storia famigliare, perché avevo la sensazione che mai nessuno si sarebbe dimenticato di me, di noi, un tentativo di preservare la memoria dall’oblio (_mnesia). Poi ho avuto la fortuna di frequentare lo studio e la camera oscura del fotografo Daniele Casadio di Ravenna dove ho realizzato la mia formazione fotografica assieme ad Alex Majoli che frequentava lo stesso studio.

I diversi stage con Joan Fontcuberta hanno plasmato il mio approccio creativo alla fotografia; da lì in poi ho iniziato a intenderla come mia forma di espressione artistica e non solo come rappresentazione del reale.

Andrea Bernabini

Angelo Zzaven: Mi par di capire che la fotografia sia stata sempre presente nella tua famiglia. Tuo padre lo faceva per professione o per passione? Come è arrivato il primo apparecchio fotografico nelle tue mani?

Andrea Bernabini: Si Angelo è stata sempre presente fotografia nella mia vita, ma per mio padre era una passione lui immortalava tutti gli avvenimenti stampava (cosa meravigliosa) e raccoglieva in grandi album, che ciclicamente sfogliavamo sul divano, era come andare ad attingere in un grande contenitore pieno di tempo, memoria e identità della nostra famiglia. Aveva censito e raccolto anche tutte le immagini tramandate dai nonni e dai bisnonni, un immaginario di volti perduti, dove mi perdevo a guardare quelle immagini evanescenti immaginandomi le loro storie le loro vite. Come è arrivato il mio primo apparecchio? Mio padre mi aveva dato la possibilità di creare un'attrezzata camera oscura nella cucina al piano superiore e con i risparmi passai dalla prima Pentax che mi aveva regalato a una Nikon F3.

Angelo Zzaven: Avere a disposizione una bella camera oscura, (di quali anni parliamo?) sarà stato un incentivo importante per le tue sperimentazioni; parte da lì la tua vena creatrice che ti ha portato alle splendide immagini di oggi?

Andrea Bernabini: Avere a disposizione una bella camera oscura nel 78 è stato molto stimolante ma, nell’80 ebbi un devastante incidente in moto e Daniele Casadio mi portò in ospedale la mia F3 e una trentina di TRI X. così dal letto prima e con la carrozzina poi documentai tutto quello che vedevo nei cinque lunghi mesi di degenza all’ospedale di Ravenna, di giorno e di notte giravo avanti e indietro in tutti i reparti (tanto tutti sapevano di me); fotografavo sempre e questo atto è stato salvifico. Puoi immaginare stare 5 mesi in ospedale fra interventi, terapie, dolore e solitudine per un ragazzo di 20 anni, la fotografia mi ha davvero salvato, è stata la mia terapia e una volta uscito ho sviluppato 47 rulli e da lì è nata la mia prima mostra. Un progetto realizzato all’interno di un ospedale da un degente di 20 anni ha provocato interesse e un grande riscontro positivo, tutto questo mi ha spronato e stimolato a impegnarmi e studiare a fondo la fotografia.

Andrea Bernabini

Angelo Zzaven: Le vie dell'incontro con la fotografia sono davvero infinite e nel tuo caso davvero particolari... quanto senti lontano oggi la tua fotografia da quei primi approcci?

Andrea Bernabini: Ovviamente la crescita è stata tanta e i campi di esplorazione altrettanti, ma era inevitabile, la dote a cui sono più legato è la curiosità, la sete continua di conoscenza mi ha portato ad andare sempre oltre al tradizionale utilizzo del mezzo di espressione usato. La frequentazione dello studio di Casadio mi ha fatto conoscere a fondo la tecnica fotografica e lo studio della luce, di cui Casadio è grande maestro e mi ha fatto innamorare dei grandi nomi tra i quali Robert Mapplethorpe, Irving Penn, Ansel Adams, H.C.Bresson, Luigi Ghirri, Sebastiao Salgado. Ho realizzato reportage nei viaggi che ho fatto per 12 anni collaborando con alcune agenzie fotografiche di Milano; in contemporanea ho iniziato a seguire una serie di Workshop non solo in Italia ma anche in Spagna e in Francia, fra i piu significativi posso segnalare Joan Fontcuberta, Joel Peter Witkin. Fontcuberta mi ha aperto la mente ad un mondo di ricerca, sperimentazione e utilizzo più concettuale della fotografia, studiando i lavori di Paolo Gioli, Man Ray e Studio Azzurro. Così iniziai una ricerca su materiali Polaroid Professionali che venivano usati in studio e scartati durante le prove, ricavandone un processo innovativo che chiamai “macerazioni”. Questi esiti incuriosirono la Fondazione Italiana Polaroid che mi sponsorizzò per i successivi due anni per continuare la ricerca. La voglia di scoprire sempre nuove forme di espressione mi ha fatto approdare anche nella video Arte, ma è solo attraverso la fotografia, ancora oggi, che trovo il vero canale di comunicazione del mio io. Ad oggi mi ritengo molto fortunato, la mia curiosità e la sete di conoscenza sono stati il motore della mia costante ricerca sulle arti visive, un settore che negli ultimi decenni ha avuto una vera e propria esplosione, successo che mi ha permesso di poterne fare la mia professione vivendo della mia Arte.

Andrea Bernabini

Angelo Zzaven: Gli esperimenti sugli scarti di polaroid che chiamasti “Macerazioni” potrebbero avere attinenza con le sperimentazioni di oggi nella tua ricerca Mnesia? Mi sembra di vederci la collaborazione del tempo in entrambi i lavori, sono fuori strada?

Andrea Bernabini: Analizzare e lavorare sulla memoria è una delle chiavi principali per l’interpretazione del mio lavoro ed ho trovato nell’acqua, come in ogni fluido in generale, una potente metafora per comprendere la complessità della memoria umana. La loro malleabilità, instabilità e capacità di adattamento rispecchiano la natura stessa della memoria, che è in costante evoluzione e soggetta a influenze esterne. Attraverso questa analogia, possiamo approfondire la nostra comprensione della memoria umana e dei meccanismi che la plasmano. Appunto plasmare e fare agire sostanze liquide sulla materia fotografica è il processo che mi ha fatto arrivare alle “macerazioni”. In breve, agendo con sostanze liquide per quasi dieci giorni, su negativi o positivi Polaroid potevo controllarne costantemente lo stato e modificarne la struttura con vari interventi sull'immagine usando, spatole, cutter, tempere, gelatine, creando squarci e trasparenze, riporti che danno dimensionalità là dove prima incombeva la realtà oggettiva.

Fotografie, irriproducibili in serie perché era il tempo a definirne o meglio continuava la sua azione modificandone la struttura, che era ogni volta diversa e imprevedibile. L’intento di allora come ora non è cambiato si è naturalmente evoluto. “mnesia” è un tentativo di conservazione della memoria collettiva e del suo valore costruttivo nella dimensione di bene comune, un processo iconografico e iconoclastico. In “mnesia” l’acqua e olio di paraffina sono gli strumenti con i quali rendere la materia fotografica portatrice del mio messaggio. La memoria non è statica; è soggetta a influenze esterne e può essere distorta nel corso del tempo. Questa capacità di adattamento è simile al comportamento dei fluidi, che si conformano alle forme dei recipienti che li contengono. Allo stesso modo, la memoria si adatta alle circostanze e alle esperienze, plasmata dalle nostre percezioni e interpretazioni soggettive del mondo che ci circonda. Inoltre, l'instabilità dell'acqua riflette la natura sfuggente della memoria umana. Così come le onde del mare possono cancellare le impronte sulla sabbia, i ricordi possono sbiadire e dissiparsi nel corso del tempo. Questa fragilità rende la memoria un terreno fertile per la reinterpretazione e la ricostruzione, in cui il passato può essere rielaborato e reinterpretato in base alle nostre esperienze presenti e alle nostre prospettive in continua evoluzione senza mai perdere di vista quello che siamo stati.

In un contesto più ampio, l'acqua può anche simboleggiare il flusso del tempo stesso, che scorre costantemente e trasforma tutto ciò che incontra. Ecco perché in “mnesia” è un gocciolatore tarato sul battito del mio cuore che va ad alterare le immagini dettandone il passare del tempo e il suo ritmo, ma senza arrivare alla totale cancellazione. Analogamente, la memoria è intrinsecamente legata al tempo, tuttavia, proprio come l'acqua può creare nuove strade attraverso la terra, il mantenimento e la conservazione della memoria possono creare le condizioni future per il consolidamento dell'identità individuale e collettiva, plasmando la cultura e la società, contribuendo alla continuità e alla stabilità sociale, per l'evoluzione della conoscenza e dell'innovazione, stimolando la ricerca e l'adattamento alle sfide future.

Andrea Bernabini

Angelo Zzaven: Affascinante questa storia... La manipolazione, l'alterazione fisica attraverso i fluidi... lo stillicidio del tempo... Il tuo è un processo di riscoperta continuo di te stesso, del tuo essere, del tuo divenire. Mi spieghi praticamente i vari passaggi (se vuoi farlo) che ti portano alla creazione di queste vere e proprie opere d'arte?

Andrea Bernabini: Dopo avere fatto una scelta approfondita delle immagini vengono digitalizzate e stampate su fogli di acetato. La tipologia di stampa (Laser o Ink Jet) determina la densità e malleabilità dell’emulsione mentre il tipo di acetato varia la velocità e l’aderenza con cui si distacca dal supporto plastico trasparente. Una volta riempiti di acqua gocciolatori in vetro, taro il ritmo della caduta della goccia sul battito del mio cuore. La goccia così, va a distaccare l’emulsione dal supporto e muovendo il gocciolatore decido dove la goccia deve scollare l’emulsione. Dopo avere tolto la stampa dall’acqua posso intervenire sull’emulsione in diversi modi, uno dei più frequenti è con l’utilizzo di spatoline o pennelli per posizionare l’emulsione a mio piacere e per farla rapprendere mi aiuto con un phone. Diversamente posiziono dei piccoli cunei sotto la stampa per fare colare l’emulsione fino a totale asciugatura. Una volta completata l’asciugatura questi negativi in A4 vengono posizionati su un banco da riproduzione per essere digitalizzati. L’installazione nei vasi prevede l’unione di due fogli di acetato stampati, che poi vengono inseriti in vasi da 5 litri per la conservazione di alimenti, riempiti di olio di paraffina totalmente trasparente, che dona profondità e tridimensionalità alle immagini inserite. Queste manipolazioni sono una parte delle diverse tipologie di esposizioni essendo mnesia un progetto site specific.

Angelo Zzaven: Incredibile! Tutto molto interessante e creativo... Che cosa pensi delle nuove tecnologie? Come ti poni nei confronti della tua contemporaneità e come pensi si evolverà in futuro la tua fotografia?

Andrea Bernabini: Penso che le nuove tecnologie siano strumenti straordinari che offrono infinite possibilità creative e innovative. Mi considero uno sperimentatore entusiasta di queste tecnologie, sempre alla ricerca di modi per utilizzarle al meglio per esprimere la mia arte e ampliare i confini della mia creatività. La mia visione della contemporaneità è quella di un momento affascinante e ricco di opportunità, dove la fusione tra arte e tecnologia apre nuovi orizzonti esplorativi. Come artista visivo uso molto la tecnologia nei miei lavori di Visual Designer come Art Work multimediali, video mapping 3D, scenografie video per concerti, opere teatrali e allestimenti immersivi e tattili per musei. Guardando al futuro della mia Arte, immagino un percorso di continua evoluzione e crescita, guidato dall'incessante avanzamento delle tecnologie. Prevedo un'espansione delle mie capacità creative attraverso l'adozione e l'integrazione di strumenti sempre più sofisticati e innovativi, che mi consentiranno di trasformare e interpretare il mondo attraverso nuove prospettive visive. Tuttavia, in ambito fotografico, mentre abbraccio le nuove tecnologie e le loro potenzialità, mi impegno anche a preservare l'autenticità e l'essenza della mia arte e della fotografia, usando ancora il Banco ottico, la pellicola e la manipolazione diretta su materiali fotografici, quando lo ritengo opportuno per esprimere nuovi concetti. La tecnologia può essere uno strumento potente, ma è il mio sguardo personale e la mia sensibilità artistica che conferiscono significato e profondità ai miei lavori. Pertanto, anche nell'era digitale in continuo cambiamento, mantengo la mia integrità artistica coltivando una connessione autentica con il mio pubblico attraverso le mie fotografie.

Andrea Bernabini

Angelo Zzaven: Hai detto che la fotografia e la video arte sono diventate anche la tua professione... Me ne parli? Quali sono i prodotti che ti vengono maggiormente richiesti?

Andrea Bernabini: La nascita del digitale mi ha posto davanti nuove possibilità creative che il mio bisogno di esprimere e la sete di nuove esperienze mi ha fatto cogliere al volo, cosi è iniziato il mio approccio creativo con il video. Quando il cantante John De Leo (ex Quintorigo) dopo avere visto una mia personale mi ha chiesto se potevo realizzargli le scenografie video per una serie di concerti in cui era coinvolto anche Stefano Benni e Carlo Lucarelli, questa richiesta mi ha spinto ad immergermi in un processo di apprendimento dedicato alla video Arte, che negli anni mi ha dato esiti di grande soddisfazione professionale e Artistica. In seguito, lo studio e la ricerca nell’ambito della video Arte mi ha fatto conoscere l'”interactive video” e il “video mapping 3D” ed ho iniziato quindi a produrre progetti con questa particolare tecnica di Visual Art (AR) già nel 2009, quando in Italia era agli albori. Assieme al mio Staff da allora abbiamo ricevuto commissioni da tutto il mondo, solo in Italia per esempio abbiamo realizzato installazioni su ben 14 monumenti dichiarati Patrimonio dell’Umanità dall’ UNESCO. Sempre nel 2009 ho creato la NEO Visual Project www.neoproject.it che si occupa di valorizzazione del patrimonio storico\culturale e urbano, unendo arte, comunicazione e nuove tecnologie ma anche della spettacolarizzazione di eventi e presentazioni di Brand, allestimenti museali e scenografie artistiche multimediali con l’utilizzo di animazioni come il 3D e la motion graphics, di fotografia e produzione video per Corporate e Istituzioni Culturali e Pubbliche.

Angelo Zzaven: Andrea, la nostra breve chiacchierata volge al termine, per finire vorrei chiederti di rispondere a una domanda che non ti ho fatto. Ti ringrazio per la disponibilità.

Andrea Bernabini: Innanzi tutto grazie a te perché le tue domande mi hanno fatto ripercorrere una parte molto piacevole della mia carriera e alcune mi hanno portato a riflettere anche alla domanda: Cosa prevedi che la fotografia possa ancora fare per te in futuro?

Quando la passione per la fotografia nasce nel cuore di un ospedale, come è successo a me durante momenti di vulnerabilità estrema, diventa un veicolo di guarigione ed espressione, diventa un compagno silenzioso che cattura istanti di dolore, speranza e resilienza. Una degenza forzata di 5 mesi ha fatto si che fotografassi tutto quello con cui ero a contatto. In questo stato di totale immersione, con l’uso della fotografia mi sono trovato in uno spazio di quiete interiore, un'isola di calma nel tumulto della vita quotidiana. La fotografia è un momento prezioso, un'opportunità per riconnettersi con se stessi e con il mondo che ci circonda in modo profondo e autentico. Questa è l’emotività che mi accompagna tutt’ora. Quando sono immerso in un progetto entro in comunicazione con tutto, persone, forme, linee luce e queste connessioni creano una alchimia che mi mettono in uno stato di quiete interiore che di natura non fa parte del mio carattere essendo un inquieto, e spero che tutto questo mi accompagni per tutto il resto della mia vita. Credo che la fotografia come terapia sia una testimonianza del potere trasformativo dell'arte.


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