Anna Maria Colace

Se dovessi pensare, a come ero e cosa sono, due sono le caratteristiche che mi hanno sempre contraddistinta e non mi hanno mai abbandonata, la curiosità e la necessità ogni tanto di isolarmi da tutti, ritrovarmi in luoghi nascosti dove nessuno può vedere ciò che faccio”


Angelo Zzaven: Anna Maria, ho sempre amato le tue visioni trasfiguranti, il tuo stile poetico ed evocativo. Non potevo lasciarmi sfuggire questa occasione per conoscerti meglio e scoprire qualcosa nel processo di creazione delle tue affascinanti immagini. Ma andiamo per ordine prima vorrei conoscere qualcosa di te. Di quello che fai nella vita e di come hai incontrato la fotografia. Mi parli di te?

Anna Maria Colace: Caro Angelo, innanzi tutto volevo ringraziarti per questa opportunità di condividere i miei pensieri con te e il mondo fotografico del quale facciamo parte. Le mie origini sono Calabre, Parghelia (VV) è il paese dove sono nata e ho vissuto fino all’età di 18 anni quando mi sono trasferita a Firenze, dove ho vissuto 5 anni, per frequentare l’Università, Scienze Forestali. Oggi vivo e lavoro a Torino. Attualmente, dopo varie esperienze lavorative come professionista forestale, dal 2014, dopo il fallimento dell’azienda di cui ero dipendente, lavoro come docente in un Istituto Agrario. La mia prima “tana”, Parghelia, ha avuto un’importanza notevole sia per ragioni sociali che culturali, per la formazione personale e di conseguenza anche fotografica. La storia della mia famiglia, gli amici e l’ambiente con il quali mi sono confrontata, in un periodo storico molto fervido da tutti i punti di vista, hanno determinato la mia personalità e indirizzato le scelte future. Ma non poteva essere diversamente, sono le nostre condizioni oggettive che ci determinano come persone.

Per quanto riguarda la fotografia penso di averla incontrata da sempre, da quando i miei occhi, spinti dalla curiosità, hanno iniziato a guardarsi intorno. Tutto era oggetto per me di osservazione, volti, oggetti, natura, ambienti e soprattutto quel paesaggio marino caratterizzato dalla visione dello Stromboli. Scappavo di casa per andare a guardarlo, e il mio sguardo davanti a quella bellezza andava sempre oltre immaginando ciò che ancora non conoscevo. Descrivevo con le parole tutto ciò che guardavo ma non ho mai pensato a una macchina fotografica, non vi erano le condizioni materiali per pensarci e neanche per averla. Se proprio dovessi stabilire un confine con l’inizio del mio fotografare, direi che è proprio su questa isola, che in parte inizia il mio vero fotografare. Una bellissima vacanza a Stromboli mi porta a fermare quel paesaggio bellissimo con la fotocamera di un cellulare; inviavo le foto ad amici e conoscenti i quali erano fortemente colpiti dalle tipologie di foto e mi chiedevano se avevo fatto, in passato, corsi di fotografia. In realtà avevo già usato la macchina fotografica ma con l’unico obiettivo di documentare i cantieri di lavoro forestali che gestivo.

In una successiva vacanza, in un podere vicino Siena, a casa di cari amici, una forte nevicata mi blocca e mi impedisce di tornare a Torino, così mi viene suggerito di rimanere ancora un po' di giorni e nel frattempo di andare a fotografare con una macchina fotografica compatta che mi avevano prestato. Da quel giorno i miei occhi hanno iniziato non solo a “vedere” ma anche a “bloccare” quelle emozioni vissute. Le foto di quelle giornate sono per me l’inizio di questa passione, insomma un accumulo continuo di informazione.

Anna Maria Colace

Angelo Zzaven: Stromboli e la neve toscana hanno acceso il tuo vedere, forse sono stati come dei pulsanti che una volta “premuti”, hanno cominciato a illuminare quei paesaggi interiori che ancora oggi continui a cercare, con stupore, nelle tue Visioni del mondo reale?

Anna Maria Colace: Si, Angelo quell’accumulo di informazione di cui parlavo in precedenza può essere associato a quel pulsante che, quando le condizioni sono maturate, ha attivato un qualcosa che è sfociato nel mio fotografare in modo costante e sempre con maggiore interesse e passione. Noi esseri umani siamo soggetti determinati dalle condizioni materiali che viviamo che ci determinano e caratterizzano. Il nostro vivere, le nostre emozioni, tutte le informazioni che assorbiamo, elaboriamo, ci portano alla fine a essere ciò che siamo e la fotografia, come processo creativo che ci appartiene, non può che rappresentare questo nostro essere. Ogni qual volta i miei occhi sono colpiti da qualcosa scatta quel pulsante, emotivo e mentale, che mi porta a fissare un’immagine. La fase di elaborazione non è da meno e spesso si è rivelata ancora più intensa, dal punto di vista emozionale, del momento stesso dello scatto. Il dato di “realtà”, naturale o artificiale, inteso come ambiente con il quale interagisco, passa attraverso quel filtro dell’autore, si crea quindi una sincronia di fattori, tra mondo naturale e antropico, fino alla produzione finale dell’immagine. Mi viene da pensare con la mia formazione di studiosa dei sistemi naturali a quel processo osmotico tra cellule che selezionano e filtrano ciò che deve passare e ciò che viene escluso.

Ci sarebbe un ulteriore “filtro” che è quello dell'osservatore che aggiunge significati a ciò che si è prodotto; una relazione tra gli elementi dei sistemi che entrano in contatto, una connessione che attiva processi dinamici e di sincronia, come una rete neuronale o una rete internet, che si sviluppa e connette tutti come in un grande organismo, di una potenza inimmaginabile. Sottolineo che quanto espresso, sul determinismo, non è solo una mia riflessione ma dimostrata anche da vari studi scientifici sul funzionamento dei sistemi sociali e sulla loro traiettoria evolutiva. I sistemi naturali sono regolati da leggi fisiche ben determinate, l’uomo, come facente parte della natura, non può essere diverso. Queste affermazioni spazzano via anche quelle strane idee sul processo creativo fotografico che per essere tali, e raggiungere alcuni obiettivi, sia necessario stabilire a priori regole alle quali adeguarsi. Un processo creativo quindi non è un atto puramente volontaristico ma è legato anche alle determinanti dei soggetti.

Angelo Zzaven: Le tue idee sul determinismo mi affascinano... Hai detto che le tue immagini nascono e maturano in due momenti diversi ben definiti: il momento dell'impulso che ti fa scattare e il momento dell'elaborazione. Quale di questi due momenti pensi sia fondamentale nella genesi delle tue immagini, o meglio quale dei due momenti ritieni più creativo?

Anna Maria Colace: Non penso ci sia un momento decisivo nella produzione delle mie immagini, i due momenti li considero come un atto unico nella dinamica della creazione delle mie foto, come un “organismo” che si nutre di tutti gli elementi che i due momenti generano. I miei occhi vedono una realtà e selezionano ciò che la macchina fotografica subito dopo bloccherà; a questo processo, come dicevo, si aggiunge o si toglie informazione per arrivare in modo istintivo a un equilibrio di forme e colori, una sintesi che potrebbe corrispondere a quella che in natura viene identificata con la funzione ma che mi piace pensare anche a quell’idea di bellezza o estetica che spesso ci troviamo a definire. Ecco a questo punto l’immagine può esplicitare tutta la sua funzione visionaria, onirica, surreale...termini che in qualche modo hanno usato per le mie foto. Io non amo usare aggettivi, definire i miei lavori fotografici o teorizzare sulla mia produzione artistica, preferisco che siano altri, quando guardano le mie foto, a vedere, sentire ed esprimere, secondo i loro filtri, i sentimenti e le emozioni che ne scaturiscono.

Questa sintesi che infine si genera con un apporto continuo e dinamico, mi rende felice, mi fa stare bene, mi mette in relazione con il mondo, mi connette con gli altri, sia in positività che negatività, così come nella maggior parte delle situazioni della vita.

Osservare ciò che produco, mi crea una condizione di equilibrio, ritrovo connessioni con ciò e con chi mi circonda, un disordine che diventa ordine, un processo omeostatico per il mio essere e la mia sensibilità. Come dicevo prima non sono sempre momenti belli, ma a volte anche dolorosi, momenti di profonda malinconia, quella malinconia che spesso si traduce in una fervida produzione artistica di cui, nel mio caso, è anche complice la musica che in questi momenti mi accompagna.

La produzione fotografica, intesa come forma di linguaggio e informazione, non è lontana, come dicevo in precedenza, dal processo di vita di noi esseri umani. In forme diverse penso che ognuno viva questi momenti di “creazione”, il “nuovo” che aggiunge informazione a ciò che già esisteva, nel sistema in cui siamo immersi. Tutto questo processo mi piace pensarlo in una dinamica di conoscenza che si accumula, si amplifica e coinvolge tutta l’umanità in una specie di cervello sociale che ci rende finalmente in equilibrio con la natura di cui facciamo parte.

Anna Maria Colace

Angelo Zzaven: L'incessante ricerca della bellezza contraddistingue le tue visioni, quali sono stati gli artisti, le contaminazioni dal mondo dell'arte, che hanno influenzato la tua creatività?

Anna Maria Colace: Come dicevo in precedenza sicuramente ci sono determinanti del mio vissuto che hanno portato alla produzione fotografica delle mie “visioni”. In qualche modo il mondo dell’arte si è manifestato nel mio vissuto, da adolescente desideravo frequentare un liceo artistico ma il territorio, dove vivevo, non lo permetteva per cui ho declinato la scelta sul liceo scientifico. Non so dirti quali siano state le determinanti che mi portarono all’epoca a pensare ad una scelta scolastica di quel tipo e neanche quali gli artisti o il mondo dell’arte da cui possa essere stata contaminata. Le conoscenze delle forme d’arte pittorica e scultorea erano legate agli apprendimenti trasmessi a livello scolastico, la mia formazione successiva è stata di tipo scientifico dove sicuramente molte sono state le connessioni con le forme espressive della storia degli esseri umani, del loro rapporto con la natura e con tutto ciò che li circondava. Quando le mie immagini iniziarono ad essere osservate molte furono le associazioni e le relazioni che venivano trovate con alcuni fotografi che neanche conoscevo. Negli anni novanta, epoca in cui non avevo ancora iniziato a fotografare, in una galleria d’arte di un amico, mi capitò di osservare le opere di una fotografa iraniana, Shirin Neshat, forse una delle prime esposizioni di quella giovane fotografa e un mio primo coinvolgimento emotivo a questa forma artistica.

Più volte, le domande che mi venivano fatte da chi apprezzava il mio lavoro fotografico, mi hanno posto di fronte al problema di quali siano state le determinanti che in qualche modo hanno inciso sulla mia parte creativa. Potrei fare un elenco di forme espressive che ho osservato e vissuto, ma sinceramente non ritengo che ci siano delle specificità che mi hanno influenzata ma tutto un sistema di ambiente di vita che mi ha formata. Con questa analisi sono arrivata alla conclusione che in qualche modo l’ambiente familiare, unito alla passione per la natura, hanno profondamente inciso sulle mie espressioni artistiche.

Un padre sarto, un bravissimo sarto. Ho ancora negli occhi i colori e le forme di quei meravigliosi vestiti che ha prodotto per mia madre che in tutta la sua bellezza di donna ha reso omaggio a questa forma d’arte e che ancora oggi, alcuni di questi, fanno parte del mio guardaroba. Alla produzione artistica di mio padre si aggiungono i fili colorati di mia madre, esperta ricamatrice. Questa sua forma d’arte si associava a quella di sua sorella sarta. Ricordo con estrema precisione i momenti di progettazione dei vestiti, alcuni dei quali realizzati, per me bambina, con residui di stoffe derivanti dalla produzione sartoriale principale. Riuscivano a mettere insieme residui di stoffe associando ad esse anche il ricamo, ciò che ne veniva fuori era di una bellezza unica, pensarli e scriverne ancora mi emoziona. Per un certo periodo della mia vita ho disegnato vestiti che facevo realizzare da brave sarte. Non ho imparato molto della tecnica sartoriale ma sicuramente ho negli occhi i colori di stoffe uniche, passamanerie, bottoni e tutto ciò che quel mondo utilizzava e che forse oggi, insieme alla conoscenza delle forme, colori e dinamiche della natura, sono entrate a far parte della mia produzione fotografica artistica.

Angelo Zzaven: Credo che l'eredità artistica che ti hanno lasciato i tuoi genitori e la zia, è straordinaria e rivelatrice di quello che tu sei oggi. Le tue visioni in parte sono i loro vestiti, come loro, metti insieme i tuoi “ritagli di realtà” per costruire meravigliose visioni. Cerchi o trovi questi ritagli?

Anna Maria Colace: Caro Angelo d’istinto mi verrebbe da risponderti che non li cerco ma li trovo, quindi, anche per le cose che ti ho scritto in precedenza, non può essere così. Dialetticamente non posso pensare che ci sia una contrapposizione tra le due possibilità ma una sincronia tra le attività di cercare e trovare. La mia sensibilità, i miei interessi e i miei occhi vanno verso ciò che mi appartiene come linguaggio, ed ecco che cerco e trovo ciò che mi raccontano “poesie” di luoghi e persone. I miei “ritagli” di vita, le mie “visioni” sono sempre state, anche prima di usare una macchina fotografica, fotografie mai scattate, luoghi mai visti, occhi mai guardati, alberi che raccontano memorie di luoghi, mari in tempesta e spiagge solitarie, foglie che cadono, lacrime che ti rigano il viso per la gioia di un momento o per un volto che non vedrò mai più, mani che toccano e accarezzano, silenzi… Ed ecco che subito dopo, mentre la musica mi accompagna, metto insieme i miei ritagli ricamandoli con fili colorati; non sempre, come in questo periodo, ci riesco. Tutti questi ritagli della mia realtà, come un puzzle, penso assumano nel tempo un equilibrio, una rappresentazione di ciò che io sono, del mio sentire e del mio navigare in queste immagini che spesso mi rallegrano il cuore, mi fanno sentire lontano dal rumore di un mondo che non risponde al mio sentire e forse al sentire di una intera umanità che cerca di navigare, anche inconsciamente, nella speranza di una “terra promessa” dove tutti possano ritrovare il vero senso della vita. La nostra vita è soggetta a perturbazioni continue a volte riusciamo a contrastarle, e a trovare nuovi equilibri, altre volte le perturbazioni sono andate oltre quell’equilibrio e così non facciamo altro che urlare la nostra rabbia, il nostro stare male, urliamo il nostro ruolo inutile, urliamo il possedere, urliamo per imporre la “vera fotografia”, urliamo e basta. Nessuno ascolta ma non siamo neanche più in grado di capirlo, questo mondo ci ha resi sordi, difendiamo le nostre piccole certezze, che sanno di niente, e usiamo un linguaggio che è di questo mondo senza pensare che, forse può esistere un linguaggio diverso, possiamo forse un giorno trovare un “nuovo mondo” da fotografare. E così rimaniamo intrappolati nei nostri ruoli e il mondo della fotografia che, come gli altri, non è esente. Invece di cercare e trovare continuiamo ad urlare, un rumore che sinceramente in questo periodo non lo sopporto e allora rimango in un silenzioso cercare e trovare, tra caos e logos.

Anna Maria Colace

Angelo Zzaven: Le tue visioni... sogni ad occhi aperti, esercizio paziente e incessante alla ricerca del bello, della magia dei colori, della meraviglia, dell'incanto. Che cos'è per te la bellezza?

Anna Maria Colace: Leggendo la tua domanda la prima parola che mi è venuta in mente è “Natura”. Sono i colori della natura, un equilibrio di colori e forme che non fanno altro che soddisfare, oltre i nostri sensi e l’animo, anche quella funzionalità necessaria a far si che gli elementi di cui è costituita possa riprodursi e avere un equilibrio perfetto di funzionamento. Forme, colori e funzioni che soddisfano un concetto di equilibrio di tutto il sistema, un concetto di estetica funzionale e scientifico, per niente filosofico. Ed è proprio da quanto espresso sopra che questi concetti non possono essere distaccati da un’idea di equilibrio, armonia di tutti i sistemi in cui siamo immersi. Non dimentichiamoci che siamo elementi di questa natura, di conseguenza anche ciò che produciamo e immettiamo nel sistema diventano armonici, e mantengono l’equilibrio, solo se vengono rispettate alcune leggi. L’uomo ha alterato questo equilibrio, e oltre ad averlo alterato non fa altro che continuare a riprodurre e perpetrare errori senza neanche accorgersi più di quanto piano piano si sta allontanando. Questo penso valga anche per la produzione artistica che non fa altro che riprodurre, riportare, far emergere ciò che sono le determinanti del periodo storico in cui siamo immersi con tutte le contraddizioni che lo contraddistinguono. Non è facile uscirne, così come non è facile vedere nel presente che ci può essere una “bellezza” diversa nel futuro.

In questa società attuale è diventato bello anche ciò che non è funzionale all’umanità, non ci si emoziona più allo stesso modo di quando si guardano alcune opere d'arte, un mare in tempesta, la forza e l’energia della lava che scorre, lo sguardo di chi si vuole bene o quelle mani che nel tempo hanno fatto evolvere gli esseri umani, “Il gesto e la parola” di André Leroi-Gourban. Oggi ci siamo dimenticati di quanta bellezza c'è stata in queste mani che hanno prodotto e fatto sviluppare il nostro cervello fino ad avere capacità di astrazione, mettendoci anche nella condizione di emozionarci fortemente nel guardare in modo diverso quella “lava” che si immerge nel mare mentre sprigiona tutta l’energia in essa contenuta. Leggiamo spesso che “la bellezza cambierà il mondo”, non credo in questo Angelo ma, al contrario, si può raggiungere solamente in un mondo diverso, dove gli uomini si esprimono in equilibrio e in armonia con tutte le componenti di cui è costituito.

Angelo Zzaven: C'è un progetto particolare su cui stai lavorando o su cui vorresti lavorare in futuro?

Anna Maria Colace: Per quanto riguarda l’atto dello scattare fotografie non ho progetti specifici in questo periodo, una serie di problemi personali non mi hanno lasciato molto tempo e di conseguenza non si sono create quelle condizioni emozionali, se non in rare occasioni, che mi abbiano spinto a scattare. Ci sono invece dei progetti di tipo comunicativo, la progettazione di un sito internet e una proposta editoriale ricevuta per la realizzazione di un libro, entrambi i progetti procedono a rilento per lo stesso motivo. Ti posso invece dire di un desiderio che ho per il futuro, e che penso prima o poi realizzerò, fare un viaggio, on the road, con amici fotografi e destinazione incognita anche se qualche idea è presente nella mia testa. Lo so che ti stai chiedendo dove e con chi, ma per adesso è un segreto.

Anna Maria Colace

Angelo Zzaven: Quanto c'è in te di quella bambina che rincorre l'aquilone sulla spiaggia?

Anna Maria Colace: Penso ci sia sempre molto del nostro essere stati bambini, si acquisiscono le informazioni che formano la nostra personalità e sensibilità, quello che guardi, ascolti e odori ti rimane impresso sulla “pelle” per l’intera vita. Sono gli anni della “programmazione” del nostro essere e tutto ciò che vivi rappresenta la memoria dove andrai ad attingere, soprattutto per la parte emozionale. Se dovessi pensare, a come ero e cosa sono, due sono le caratteristiche che mi hanno sempre contraddistinta e non mi hanno mai abbandonata, la curiosità e la necessità ogni tanto di isolarmi da tutti, ritrovarmi in luoghi nascosti dove nessuno può vedere ciò che faccio. La curiosità mi ha sempre portata anche lontana da ciò che gli occhi non riuscivano a vedere, complici le carte geografiche che mi hanno appassionata da sempre. Da bambina ero convinta che l’essere umano dovesse visitare tutti i paesi del mondo, fantasticavo immaginandomi i diversi luoghi da visitare e non mi rendevo conto che il mio fantasticare entrava in contraddizione con il tempo limitato della vita dell’uomo. Ancora oggi, con la mia cartina in mano, mi perdo in strade secondarie, e non vorrei che piccoli paesi nascosti potessero sfuggire alla mia vista, al mio sentire. Sorrido pensando che non sono mai riuscita a liberarmi di questa curiosità, quindi l’unica cosa che rimane è godere di ciò che osservo e fotografo.

Angelo Zzaven: C'è qualcosa che ti fa paura?

Anna Maria Colace: Mi fa paura la morte, vorrei che il tempo non potesse mai finire perché vorrei fare mille cose e l’idea di non esistere più mi inquieta. Da giovane questa inquietudine era ancora più marcata, un’angoscia che mi faceva stare molto male, ora ci penso meno e quando lo faccio non ho più quella paura di quando ero giovanissima, il nostro cervello forse “aggiusta” per farci sopportare questo terribile momento che, nel trascorrere del tempo, apparterrà ad ognuno di noi. Mi fa paura perdere gli affetti, le persone alle quali voglio bene, insopportabile, lacerante questo sentimento, forse anche egoistico ma è così.

Anna Maria Colace

Angelo Zzaven: Anna Maria la nostra chiacchierata è finita, come di consueto, ti chiedo di rispondere a una domanda che non ti ho fatto. Ti ringrazio di cuore per la pazienza e la disponibilità.

Anna Maria Colace: Quali sono le foto che ti sono rimaste nella memoria degli occhi? Le mani di mio padre, le labbra di mia madre, le parole di chi guarda nuovi orizzonti, gli occhi di amici mai guardati, il volto di un jazzista che suonava una tromba su una zattera lungo un fiume, il volto di un bambino mai nato, quello di una donna del sud adornata di ori appartenuti a generazioni passate, una fabbrica sommersa dal mare, i volti dimenticati, una nuotatrice in un mare che non conoscevo, un animale mai visto, la memoria degli anelli di crescita di un albero sconosciuto, le radici di un bosco, un mare di sabbia, la malinconia di un sogno…

…i tuoi occhi Angelo, che spero presto di poter guardare, e quelli di tutti quelli che mi hanno regalato parole guardando le mie immagini. Grazie di cuore a tutti voi, senza i vostri occhi le mie foto perderebbero di significato.


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