Federica Zucchini

C'è stato un tempo in cui amavo salire da sola sulle montagne, amavo camminare, lo facevo col sole, la pioggia, il vento e la neve, lasciavo cadere briciole di pane (erano puntini bianchi per il ritorno o forse segnali per farmi trovare oppure briciole per i passeri amici degli spiriti solitari) e mangiavo bacche mature di rosa canina, portavo con me la mia scatola nera magica, la Polaroid 636, e durante lo sviluppo mettevo le fotografie accanto al cuore. Dipanavo così la matassa dell’ingombro dei pensieri e accarezzavo la malinconia”


Angelo Zzaven: Federica, per iniziare vorrei che mi parlassi di te: chi sei, cosa fai, come e quando è entrata la fotografia nella tua vita?

Federica Zucchini: Chi sono? Domanda difficile. Da dove potrei iniziare per parlare di me stessa, potrei partire da lontano, oppure da vicino. Parto da queste parole. Federica è come gli alberi, ha i piedi per terra e la testa tra le nuvole. Lei sogna, sogna e desidera. Dalle sue finestre osserva sempre il cielo e immagina di diventare densa e pastosa come un colore ad olio e di sciogliersi nei tramonti infuocati della sera. Vorrebbe sparire a volte, nascondersi, fuggire dove non ci siano impronte umane. Ma poi si pente e ricomincia a lottare. E mette il rossetto rosso per mostrarsi più bella. Programma i viaggi che non farà, le numerose città invisibili che non visiterà. Vorrebbe raggiungere le stelle e nuotare nello spazio siderale. Federica ha troppo spirito critico e le sue idiosincrasie aumentano di anno in anno. Osserva esterrefatta il mondo: esso è divorato con ferocia inaudita da chi maneggia il potere. Vorrebbe salvarlo, il mondo, e allora cura il suo giardino come se esso fosse il mondo intero. Non lo so chi sia Federica, a dire il vero. Nessuno sa che cosa sia un essere umano. Forse noi tutti siamo dei segreti lasciati indovinare.

La fotografia è entrata nella mia vita per caso, per forza e per amore, circa undici anni fa. Si è svolto tutto così, in questo ordine. In principio c’è stato l’intervento del caso. Poi una malia irresistibile, potente come un incantesimo, si è impossessata di me, conducendomi nelle viscere della terra. Oggi è l’amore. La fotografia con l’amore c’entra. Ma la fotografia è tante cose. All’inizio fotografavo tutto e lo facevo con voracità, con l’ansia di prendere e trattenere le cose che il vento e il tempo facevano volare via. Forse fotografavo senza vedere. Prima di vedere. Non ero consapevole della potenza del gesto fotografico. Ero un foglio bianco. Poi è accaduto qualcosa di importante. Qualcosa che doveva accadere: l’epifania che mi ha rivelato il senso di quello che stavo facendo. Se prima ero come quegli amori folli che non vogliono avere limiti, oggi assomiglio a quegli amori saggi che sanno che non c’è desiderio senza legge, e che il perdono dell’altro ci rende persone nuove. Anche quando non scatto fotografie la fotografia è comunque presente, lo è come idea, come attitudine, come sguardo che si posa sulle cose esteriori, ma anche come sguardo interiorizzato che scava nelle profondità invisibili, come monito della coscienza e come custode della memoria.

Angelo Zzaven: “Ero un foglio bianco. Poi è accaduto qualcosa di importante. Qualcosa che doveva accadere...”, Che cosa è successo? Me ne vuoi parlare?

Federica Zucchini: Attraverso incontri e luoghi sacri si è compiuta la mia epifania. La rivelazione di una verità, ovvero che cosa sia per me la fotografia.

Federica Zucchini

Angelo Zzaven: Quanto affermi evidenzia il tuo forte coinvolgimento mentale nell'atto fotografico... Quali sono state le influenze, non necessariamente del mondo della fotografia, che hanno inciso nella tua formazione?

Federica Zucchini: Oh Angelo, quello che mi hai appena detto mi stupisce. Davvero ti sembra di ravvisare nelle mie parole un segnale che riveli un mio “forte coinvolgimento mentale nell’atto fotografico”? Purtroppo non è così. O per fortuna. Non lo so, in effetti. L’argomento è complesso. Posso dirti, onestamente, con pochi dubbi (quelli naturali di chi riconosce che la vita è un mistero e che l’essere umano è una creatura misteriosa), che non mi considero capace di approcciarmi alla fotografia con un atteggiamento razionale, rigoroso e scrupoloso, credo dunque di non averlo mai fatto e altresì penso che non sarei in grado di imparare a farlo.

Se, però, per coinvolgimento mentale, intendi l’attitudine di riflettere su quali significati e quale importanza attribuire alla fotografia, allora posso certamente affermare che, nello spazio del mio percorso fotografico, non sono mai mancate appassionate riflessioni, anche dolorose, ma sono avvenute sempre prima e dopo il gesto fotografico, mai durante. Nella mia fotografia non c’è ad esempio progettualità. Non faccio mai progetti. Non mi è mai successo fino ad ora di partire dall’idea per arrivare alla fotografia, seguo un percorso che si snoda al contrario: non penso alla storia da raccontare e poi cerco (o costruisco) le immagini che sappiano illustrarla, io parto sempre dalle fotografie e poi, all’improvviso, quando meno me lo aspetto, mi accorgo di avere raccontato una storia. Non voglio prendermi meriti che non ho, non riconosco a me stessa doti e bravura, raccolgo semplicemente fotografie già pronte, le accolgo in grembo, esse si depositano accanto ai tiepidi liquidi interstiziali dei tessuti cellulari, aspetto paziente che mettano le radici, che germoglino, che fioriscano. Forse il mio archivio vasto e profondo è pieno di storie che aspettano ancora di essere raccontate: sono le storie del futuro.

Mi chiedi anche quali siano le influenze che abbiano inciso nella mia formazione fotografica. E’ la vita che influenza la mia fotografia. La vita tutta intera, con le sue gioie e i suoi dolori. Per me vita e fotografia sono la stessa cosa. La mia vita si specchia dentro la fotografia e la fotografia si specchia dentro la mia vita: vita e fotografia sono due specchi che si riflettono vicendevolmente l'uno nell'altro.

Federica Zucchini

Angelo Zzaven: E allora parlami della tua vita... Dove vivi? Come concilii la tua voglia di riempire quel “foglio bianco” con la vita di tutti i giorni? Come definiresti una tua giornata tipo?

Federica Zucchini: Io vivo in Umbria, in una piccolissima località nel comune di Foligno. La mia casa è stata costruita negli anni venti del '900 da mio nonno e suo padre. Qui ho fatto il nido, credo di avere radici molto profonde. Gestisco, insieme a mio marito, l'azienda agricola di famiglia, prima se ne occupavano i miei nonni materni. Persone speciali i miei nonni, mia nonna si chiamava Cecilia, ci siamo amate tanto, è rimasta accanto a me per quarantasette anni, senza mai vacillare, è morta a centosette anni. Ho anche lavorato come addetta alle vendite per quindici anni in un supermercato, poi ho deciso di licenziarmi e di aprire un piccolo agriturismo, proprio qui, a casa nostra, tra gli ulivi.

Sono mamma di tre figli, che stanno crescendo troppo in fretta, il più grande, Giacomo, si è diplomato a luglio e lavora già, gli altri, Gabriele di 17 anni e Aurora di 15 anni vanno a scuola. Ho molta nostalgia della loro infanzia, che ho fotografato abbondantemente: spesso sprofondo nel mio archivio fotografico e mi crogiolo nella malinconia. Faccio la mamma a tempo pieno. E' un ruolo difficilissimo, non so mai se sto facendo la cosa giusta, e chissà quando potrò fare dei bilanci sul mio operato. Che ruolo difficile quello del genitore, soprattutto in una società "malata" come la nostra. Le mie giornate sono davvero molto ripetitive, trascorro molto tempo in casa, mi dedico alla famiglia, al lavoro, alla cura delle piante e degli animali, seguo tantissimo i miei figli nello studio, amo leggere e fotografare la mia quotidianità.

Ho sempre fotografato la mia quotidianità, la mia famiglia, le cose semplici (anche straordinarie) che accadono intorno a me. Non ho mai sentito il bisogno di raccontare realtà lontane che non mi appartengono e che non conosco. Ho invece avvertito il desiderio intenso, di narrare nel miglior modo possibile la mia vita. Ho fabbricato tanti ricordi: senza il mio archivio vasto e profondo mi sentirei poverissima, è uno scrigno prezioso, una coperta calda che mi scalda quando è freddo, un vento leggero che mi sfiora come una carezza nella solitudine e nello sconforto.

Angelo Zzaven: Tra le tante storie che ci hai raccontato, io già nella prima parte di questo progetto avevo messo gli occhi su “Riminiscenze sparse” lavoro in polaroid, di cui ho scelto alcune immagini per il libro #leimmaginicheamo. Come arrivi alla fotografia a sviluppo immediato? E stato un esperimento momentaneo o hai intenzione di lavorarci ancora?

Federica Zucchini: La polaroid è magica e la uso ancora. Ma lo faccio con mite paziente e lenta contenutezza. Non ho mai voluto fare di questa magia un uso eccessivo o inappropriato. Scelgo con cura i momenti che desidero fermare dentro il bordo bianco di una piccola fotografia a sviluppo immediato. Sono momenti in cui vedo passare la vita. Sono modi di stare al mondo. Sono cose che voglio ricordare. Tutto è ricordo: lo sono i desideri, le esperienze, i sogni, i movimenti dell'anima e del corpo. Anche i miei pellegrinaggi sulle montagne sono ricordi. C'è stato un tempo in cui amavo salire da sola sulle montagne, amavo camminare, lo facevo col sole, la pioggia, il vento e la neve, lasciavo cadere briciole di pane (erano puntini bianchi per il ritorno o forse segnali per farmi trovare oppure briciole per i passeri amici degli spiriti solitari) e mangiavo bacche mature di rosa canina, portavo con me la mia scatola nera magica, la Polaroid 636, e durante lo sviluppo mettevo le fotografie accanto al cuore. Dipanavo così la matassa dell’ingombro dei pensieri e accarezzavo la malinconia, nascevano immagini affamate d’abisso, imperfette, difettose, uniche ed irripetibili, ingiallite dal sole e dal caldo o graffiate dal freddo e dal gelo.

La polaroid è imponderabile, imprevedibile, mi lascia col fiato sospeso, mi fa sentire spettatrice di un divenire, di un fluire naturale e spontaneo, che mi trasmette emozioni molto forti, di essa amo pure e soprattutto, smisuratamente, i difetti e le imperfezioni delle pellicole. Tutte le mie fotografie contengono ricordi, sono esse stesse ricordi che rimandano ad altri ricordi, sono dunque ricordi di ricordi. La fotografia è memoria. La fotografia è conoscenza, che si realizza a posteriori attraverso i ricordi. Le mie fotografie sono luoghi che contengono i segni di passaggi già accaduti, luoghi che evocano reminiscenze lontane, la cui eco raggiunge il futuro. Sono felice di aver incontrato la fotografia e di aver fabbricato tanti ricordi, capaci di legare il presente al passato e al futuro.

Federica Zucchini

Angelo Zzaven: Si sa i propri lavori si amano tutti, perché tutti ci rappresentano e parlano per noi. Ma c'è tra le tue storie qualcuna a cui sei legata particolarmente?

Federica Zucchini: Tra i "lavori" realizzati con la polaroid, quello che considero più importante è "Geografie", poiché contiene tante storie: le contiene tutte, sia le possibili che le immaginabili, quelle già accadute e quelle che accadranno. Tra quelli realizzati in digitale ci sono "Lessico famigliare "e "Cecilia è dappertutto". Tutta la mia produzione fotografica è un grande vasto dilatato esteso sconfinato infinito lessico famigliare: la amo tutta, con un amore simile a quello che si prova per certi doni preziosi, quelli ricevuti da chi ci vuole bene per davvero.

Angelo Zzaven: … la vita in campagna, l'agriturismo, gli ulivi, la famiglia, i ragazzi che crescono velocemente, tu in mezzo a tutto ciò che “fabbrichi” intimi, nostalgici ricordi... pensi che avresti potuto avere un'altra vita o quella che hai è la migliore possibile? Che cosa ti auguri per il futuro?

Federica Zucchini: Sì, certamente, con altri presupposti e altre condizioni, altri genitori, altri incontri, altri percorsi, altre esperienze, la mia vita sarebbe stata differente. Vorrei che il mio futuro fosse pieno di storie belle, storie da vivere una alla volta. E pure da raccontare, se ne avrò voglia. Vorrei che dentro quelle storie ci fossero sempre i miei figli e i loro figli, mi piacerebbe tantissimo ricominciare ad avere casa piena di bambini. Mi auguro soprattutto di riuscire ad assistere stupefatta ad un rinnovamento della nostra società, un nuovo rinascimento culturale che spazzi via dalla faccia della terra le numerose ingiustizie che opprimono la vita e le speranze.

Federica Zucchini

Angelo Zzaven: Il tuo augurio è anche il mio... C'è qualche storia che per vari motivi non sei riuscita a raccontare e che avresti voluto?

Federica Zucchini: Nel mio archivio ridondante di immagini ci sono storie che aspettano ancora di uscire fuori ed essere raccontate. Ma c'è una cosa in particolare che da sempre cerco. Una cosa che è sepolta nel mio primitivo inconscio. Ed è il primo sguardo nel quale, da bambina appena nata, mi sono specchiata. Forse tutta la mia fotografia nasce da lì: dal bisogno di ritrovare quello sguardo e decifrarlo. Forse.

Angelo Zzaven: Sapresti farmi visualizzare attraverso le tue parole un'immagine che ti ha colpita e che conservi nel tuo personale archivio visivo?

Federica Zucchini: A proposito di primo sguardo. Nella fotografia che voglio rievocare c'è l'amore. Una mamma è seduta sul pavimento, appoggia delicatamente la testa sul bordo del letto e guarda un neonato nudo a pancia in giù. Un gatto sta accanto a loro. E' una famiglia.

Angelo Zzaven: … grazie, immagine molto bella. Siamo quasi arrivati alla fine, mi dici il titolo di un libro che è stato molto importante per te?

Federica Zucchini: E' difficile sceglierne uno, sono tutti importanti. Tuttavia ce n'è uno che da qualche giorno è tornato ad aiutarmi, ed è" Le città invisibili " di Italo Calvino. Le parole del finale risuonano dentro di me come un mantra e mi aiutano a non dimenticare di " cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio."

Federica Zucchini

Angelo Zzaven: Che commento ti piacerebbe ricevere da una persona che ha visitato la tua mostra?

Federica Zucchini: Qualche volta, in passato, mi è capitato di fantasticare sulla remota possibilità di realizzare una mostra personale, nella quale esporre tutti i miei lavori fotografici, ma proprio tutti. Ecco, con un po' di fantasia potrei anche immaginare quale potrebbe essere il commento più bello che mi piacerebbe ricevere da un suo visitatore. E il visitatore immaginario mi dice, a voce bassa, quasi sussurrando: "Vorrei restare qui, tra queste fotografie, per sempre."

Angelo Zzaven: Federica, la nostra chiacchierata finisce qui, come faccio sempre ti chiedo di rispondere a una domanda che non ti ho fatto. Ti ringrazio per esserti donata con sincera generosità.

Federica Zucchini: Cosa può fare ancora la fotografia per te?

 Mantenere vivo lo stupore. - Ti ringrazio tanto Angelo per questa chiacchierata. Spero di non essere stata noiosa.



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