Antonella Monzoni

ho cercato da subito di capire "cosa" mi piaceva fare con la fotografia e mi sono concentrata su quel filone: le persone, le loro storie e le loro memorie, i territori, gli eventi, un reportage umanista con una cifra il più possibile intimista. Grazie a questa mia determinazione credo di aver guadagnato tempo e di avere trovato uno stile. Ho un approccio molto aperto e cerco sempre la condivisione con le persone che incontro e intendo raccontare” 


Angelo Zzaven: Antonella per iniziare vorrei che mi parlassi di te: cosa fai nella vita? Come nasci fotograficamente? Che cosa ti ha spinto a operare nel mondo delle immagini?

Antonella Monzoni: Innanzitutto grazie per questa opportunità. Mi occupo di editoria da oltre 30 anni. Nel 2012 è iniziata la collaborazione con Franco Carlisi per la pubblicazione della rivista Gente di Fotografia. Dal 2020 ho una mia piccola casa editrice indipendente con la quale pubblico house organ e realizzo progetti di comunicazione.

Fotograficamente nasco “tardi”. Ho iniziato a 40 anni, in una fase di profonda messa in discussione con me stessa nella quale ho sentito il forte bisogno di fare qualcosa per me. La fotografia mi è balzata addosso, non avevo alcuna velleità o studio artistico. La fotografia mi ha aiutata e continua ad aiutarmi: nell’incontro e nel confronto con gli altri comprendo meglio me stessa. Sono autodidatta, ho iniziato come tutti con un corso base al quale poi sono seguiti tre workshop con autori importanti. Ho lavorato molto da subito, producendo tanti progetti personali, perché ero convinta di aver “perso tempo” iniziando in età così matura. Solo dopo tanti anni mi sono resa conto che in verità era avvenuto tutto coi tempi giusti, nel pieno della mia consapevolezza. Oggi ai tavoli di lettura portfolio incontro tante fotografe che mi parlano della loro esperienza “tardiva” in fotografia, sono momenti speciali in cui si ci ritrova con entusiasmo.

Angelo Zzaven: La fotografia ti è balzata addosso e da subito hai iniziato a produrre molti progetti... come arrivi all'idea di lavoro per progetto, metodologia inizialmente, non sempre di facile comprensione?

Antonella Monzoni: Il punto di partenza del progetto è diverso, dipende dal racconto. Se decido di affrontare un tema, definiamolo per semplicità, ”orizzontale”, ossia documentare un territorio, un evento, un luogo sacro mi preparo attraverso testi, siano essi di documentazione o libri che si ispirano in qualche modo alle esperienze che intendo svolgere, oltre a video e materiali rintracciabili anche sul web. Se invece voglio affrontare una storia personale, che riguarda una donna o un uomo nello specifico o una piccola comunità, un tema ”verticale” in questo caso, un lavoro che intende entrare nelle storie e nelle intimità delle persone, mi lascio totalmente coinvolgere dal confronto, dalla conoscenza e dalla fiducia reciproca che nasce grazie all’atto dello scatto fotografico.

Antonella Monzoni

Angelo Zzaven: Scommetto che il tuo grado di coinvolgimento nei temi “verticali” è molto importante... come individui l'argomento di tuo interesse, ti fai guidare dall'istinto, da accadimenti sociali o da cos'altro?

Antonella Monzoni: A volte sono segnalazioni, a volte racconti, articoli di giornale, argomenti condivisi con miei colleghi (vedi Collettivo Synapsee) e colleghe (vedi Associazione Donne Fotografe). Ti faccio un esempio: il progetto Madame, divenuto fortunato portfolio e poi anche libro ormai sold out. Mi trovavo in un villaggio della Borgogna e alcuni abitanti mi raccontarono di questa signora che viveva in autoreclusione da più di 50 anni e non riceveva nessuno in casa. Molti di loro non l’avevano mai vista. Lei era Henriette Nièpce, pronipote di Nicéphore Niépce, inventore della fotografia, sorella della fotoreporter Janine Nièpce e prima moglie del regista Gillo Pontecorvo. Una segnalazione talmente preziosa e una storia così affascinante che non potevo non cercare di conoscerla e così è stato. Il coinvolgimento è più che fondamentale, è totale. Ciò che si riceve si può definire un dono.

Angelo Zzaven: Davvero una storia affascinante che va raccontata... Hai accennato al collettivo Synapsee, gruppo creativo che ho seguito/seguo da lontano e che mi ha sempre incuriosito e attratto per gli artisti che ne fate parte e per i temi trattati. Me ne puoi parlare?

Antonella Monzoni: Il collettivo Synap(see) riunisce Andrea Buzzichelli, Paola Fiorini, Antonella Monzoni, Stefano Parrini e Giovanni Presutti, fotografi di diverse regioni e di diverse “visioni”. Dal 2014 abbiamo scelto di farci accompagnare dal curatore Steve Bisson. Synap(see) si distingue per l’impegno per lo studio di conflitti territoriale e per la capacità di iniziativa e di divulgazione indipendente. Nel 2018 abbiamo concluso con la mostra antologica “Un triennio di investigazione tra ambiente e fotografia” (Treviso - Fondazione Benetton) un ciclo progettuale di indagini fotografiche ambientali iniziato nel 2015 che ha interessato uno spaccato significativo dell’Italia, raccolto nella trilogia “Parco, Fiume, Agro”, i tre magazine che abbiamo puntualmente pubblicato a progetti finiti. Nel 2021 abbiamo realizzato una nuova ricerca dedicata agli alberi monumentali del Comune di Prato che si è conclusa nel 2022 con la mostra-installazione al Museo Pecci di Prato. Anche per questa iniziativa abbiamo pubblicato un magazine dedicato dal titolo “Prospettiva Fitocentrica”.

Antonella Monzoni

Angelo Zzaven: Ho avuto modo di conoscere ed apprezzare alcuni lavori che hanno fatto parte di questi progetti che ho amato per la creatività e il lodevole fine... In una risposta precedente affermi di essere nata fotograficamente “tardi”, in un momento di profonda messa in discussione di te stessa; quanto ha inciso questo aspetto, sul tuo modo di fotografare?

Antonella Monzoni: Sono andata dritta al punto, ho cercato da subito di capire "cosa" mi piaceva fare con la fotografia e mi sono concentrata su quel filone: le persone, le loro storie e le loro memorie, i territori, gli eventi, un reportage umanista con una cifra il più possibile intimista. Grazie a questa mia determinazione credo di aver guadagnato tempo e di avere trovato uno stile. Ho un approccio molto aperto e cerco sempre la condivisione con le persone che incontro e intendo raccontare. Sono state tante le occasioni in cui mi hanno aiutata nell'approfondire e migliorare il progetto iniziale da me individuato. Riflessioni importanti le ho rivolte alle donne, ad esempio, che ho fotografato, raccontato, con le quali e grazie alle quali, per la totale complicità che si innescava tra noi, ho realizzato progetti condivisi. Io ero pronta, anche se forse ne ero inconsapevole, e loro altrettanto, come se aspettassero un "qualcuno" che rivolgesse loro attenzione e giusto coinvolgimento. Un altro esempio, per spiegarmi meglio. Donne di Scanno Oggi è un progetto realizzato nel 2016 messo a fuoco l’anno prima quando mi recai a Scanno per ricevere il “Premio Internazionale di Fotografia Scanno dei Fotografi”. Camminando nella strada principale del centro, la cosiddetta “ciambella”, che permette una piacevole passeggiata nel cuore di quello che è uno dei borghi più belli d’Italia, incontrai tante donne, non le signore “in nero” delle fotografie dei grandi maestri, ma donne contemporanee, giovani, che correvano per aprire il negozio, per sbrigare le commissioni delle loro attività. Lì nacque l’idea e la prima donna che incontrai quando ritornai per scattare, alla quale illustrai immediatamente il mio progetto mi rispose: Era ora che qualcuno ci pensasse! E dalla mattina dopo incontri, chiacchiere, segnalazioni, fotografie. Un’esperienza bellissima, arricchente, di amicizia, che poi è diventata mostra itinerante e libro.

Angelo Zzaven: Il tuo approccio umanista spiccatamente intimista, emerge in tutta la sua delicatezza da molti dei tuoi lavori, così come la capacità di raccontare delle storie straordinarie... Quali sono state le influenze, non necessariamente del mondo della fotografia, che hanno inciso nella tua formazione?

Antonella Monzoni: Non ho mai avuto riferimenti precisi, sicuramente mi portavo dietro il bagaglio della mia vita, fatto di mostre di fotografia e di pittura e arte in genere, film indimenticati e indimenticabili, viaggi … e dal lavoro che si alimentava di immagini. Senz’altro sono stati importanti i tre workshop che decisi di fare a inizio percorso con autori importanti come Francesco Zizola, di cui mi ha sempre colpito la "delicatezza" presente nella sua fotografia di documentazione e denuncia, Michael Ackerman, ammiravo la sua visione che definivo “fluida”, mi riferisco in particolar modo a End Time City, e Alex Majoli che mi ha trasmesso la “determinazione” nel portare avanti un progetto.

Antonella Monzoni

Angelo Zzaven: Antonella, prima mi hai molto incuriosito accennando la storia che sta dietro al tuo lavoro “Madame”, ho pensato di inserire alcune immagini di questo progetto tra le righe dell'intervista. Mi parli un po meglio di Madame Henriette Nièpce, delle tue interazioni con lei, di eventuali aneddoti legati a questa storia affascinante?

Antonella Monzoni: Henriette Nièpce era, come già accennato, pronipote di Nicéphore Niépce, inventore della fotografia, sorella della fotoreporter Janine Nièpce e prima moglie del regista Gillo Pontecorvo. Da oltre 50 anni viveva sola, per scelta, nella vecchia casa di famiglia di Rully in Borgogna. Non usciva mai, dalle finestre entrava poca luce e le stanze buie erano illuminate da lampade. Non voleva nessuno in casa, nemmeno una femme de ménage. Solo una donna del villaggio le portava per pranzo del cibo cucinato, poi se ne andava. Henriette Niépce era pittrice, ma non dipingeva da molti anni. I suoi quadri astratti sono stati esposti una sola volta, nel 1995 a Chalon-sur- Saône. Fu una grande pasionaria a fianco del marito Pontecorvo, con il quale ha partecipato alla resistenza antifascista in Italia.

L’ho incontrata la prima volta grazie alla presentazione del suo medico, il dottor François, al quale mi ero rivolta per poter avere un introducing. Ero venuta a conoscenza che il dottore era autorizzato a visitarla per questioni di salute: Madame soffriva di cuore. Era una donna che riusciva a trasmettere pienamente l’intensità del suo vissuto. Inizialmente non voleva conversare in italiano con me, ma dopo poco mi concesse una frase: Sono 30 anni che non parlo italiano... E da quel momento lo parlò. Tra i tanti episodi di vita in Italia che mi raccontò ricordo quando raggiunse Milano direttamente da Saint-Tropez per unirsi a Gillo Pontecorvo già impegnato nei GAP (Gruppi di Azione Patriottica) a fine estate del 1943. Indossava un vestitino leggero ma a Milano faceva tanto freddo e fu grazie a Pietro Ingrao, che le prestò un pigiama di fustagno da indossare sotto il vestito, se riuscì a sopportare il gelo nelle missioni di staffetta in bicicletta che le furono affidate.

Inoltre ricordo la reazione il giorno in cui le regalai un ritratto che le avevo fatto in una delle visite precedenti. Lo guardò e con tono stupito disse: Oh, ... je suis blonde! Forse l’aveva dimenticato. Subito estrasse dalla libreria uno dei libri fotografici della sorella Janine (oggi introvabili) e lo aprì alla pagina dove era pubblicato un suo ritratto da giovane: era bellissima, ma Madame era bella anche a 90 anni. Henriette Niépce è scomparsa l’8 settembre 2010 a 94 anni. È sepolta nel cimitero di Rully, nella tomba di famiglia.

Angelo Zzaven: Per realizzare i tuoi lavori hai viaggiato parecchio, spesso in luoghi non proprio dietro l'angolo. Il viaggio ti suggerisce il progetto o il progetto giustifica il viaggio? In generale, che significa per te viaggiare?

Antonella Monzoni: Il viaggio non è il mito, la cosa importante è la conoscenza, il contatto, il poter essere sul posto. Per farti un esempio di progetto che giustifica il viaggio: per molto tempo ho cercato e fotografato un lavoro all’anno da poter aggiungere alla mia collana di perle, la mia “raccolta” di rituali, religiosi e non, sperando di farne una specifica pubblicazione. Sono andata in India per fotografare il Kumbha Mela, in Etiopia per raccontare la Pasqua copta-ortodossa di Lalibela che è la Gerusalemme del Corno d’Africa, nei cimiteri del Messico per le veglie notturne dei giorni dei morti, in Birmania con la tribù animista dei Denti Neri per la festa del maiale, in Ucraina per due giorni intensissimi di festeggiamenti di un matrimonio, in Armenia per documentare l’incredibile commemorazione del genocidio dimenticato, che si svolge ogni 24 aprile, un evento davvero unico... Questo per me è il viaggio: avere la possibilità di conoscere e raccontare.

Antonella Monzoni

Angelo Zzaven: Sei più attratta da situazioni lontane, distanti dalla nostra cultura, o per te una storia è una storia in qualsiasi parte del mondo? È sorprendente come tu riesca ad accedere e ad individuare delle storie in posti lontani in tutto. Qual è il tuo segreto?

Antonella Monzoni: Non ci sono segreti. Sono attratta dalle storie, che siano lontane o vicine. Negli ultimi anni, per la malattia di mia madre e per la pandemia, ho realizzato progetti “vicini a casa”, ho fatto di necessità virtù in un certo senso. E ho trovato storie bellissime. Come Delta e Valori in campo dove ho portato la mia attenzione verso giovani coppie (marito-moglie, compagno-compagna, fratello-sorella) che hanno deciso di investire e dedicarsi all'agricoltura, tornando alle vecchie tradizioni dimenticate o rivoluzionando il lavoro agricolo, magari ereditato dalla famiglia, innovandolo secondo i nuovi criteri di sostenibilità. Il tutto con occhi nuovi, non ho fotografato solo persone, che comunque si confermano punto di partenza per la mia ricerca, ma ho rivolto lo sguardo al paesaggio, perché il paesaggio a mio avviso è una trama di relazioni tra natura, territorio e le persone che ci vivono.

Angelo Zzaven: Alla luce di un più facile accesso all'editoria (Self publishing, Crowdfunding editoriale, ecc.), come vedi il futuro del libro fotografico? L'appeal del cartaceo funzionerà ancora o il digitale e internet modificheranno il nostro modo di usufruire, consultare, archiviare le nostre immagini?

Antonella Monzoni: Il cartaceo rimarrà. Il cartaceo offre la materia, occupa un determinato spazio fisico, è struttura. La stampa usa questo spazio, è reale, assorbe tutti i nostri sensi, non sfugge. Sono elementi completamente diversi da qualsiasi cosa che esiste solo sullo schermo. Io vedo un presente molto vivace per il libro fotografico, grazie anche a più facili accessi. Lo stesso vale per le fanzine fotografiche senz'altro molto stimolanti. Il trend di pubblicazione è in aumento. Vuoi mettere? Le mostre vanno e vengono, i libri rimangono. L’archiviazione e la consultazione sono facilitate da internet, questo è innegabile. È tutto più veloce e più semplice. Ma bisogna sempre stampare … altrimenti noi, innamorati delle foto vernacolari, cosa lasciamo alle future generazioni?

Antonella Monzoni

Angelo Zzaven: Prima hai parlato della collaborazione con Franco Carlisi nella realizzazione della rivista Gente di Fotografia, in che cosa consiste il tuo contributo? Come nasce questa collaborazione? Me ne puoi parlare?

Antonella Monzoni: Sono vice direttore editoriale della rivista Gente di Fotografia. Mi occupo del coordinamento editoriale nel momento della preparazione del nuovo numero, seguo la diffusione e la promozione. Nel mio ufficio – che è la sede legale – vengono gestiti i reparti abbonamenti e amministrativi. Visitando i festival e le fiere del settore, oltre agli incontri e alle occasioni di letture portfolio, ho l’opportunità di conoscere nuovi lavori di qualità e anche personalmente fotografe e fotografi e di segnalarli al Comitato Scientifico, capitanato dal direttore Franco Carlisi, che poi valuta i progetti, insieme ai tanti altri pervenuti e individuati, per un’eventuale pubblicazione. La collaborazione nasce a fine 2011, io e Franco ci siamo conosciuti nel 2009 a San Pietroburgo. Entrambi esponevamo ad una importante manifestazione di fotografia che si chiamava Photovernissage al Manege Central Exhibition Hall. In quell’occasione è nata l’ipotesi di lavorare insieme vista la passione comune per la fotografia e la mia esperienza in campo editoriale che poi si è concretizzata due anni dopo.

Angelo Zzaven: Visto questo ruolo privilegiato sulla fotografia contemporanea che passa attraverso la rivista Gente di Fotografia, potresti darmi una tua impressione, sulle tendenze, gli orientamenti attuali della fotografia autoriale?

Antonella Monzoni: Il mondo della fotografia si muove con modalità molto veloci che identificano anche il periodo in cui viviamo. La domanda prevede lunghi ragionamenti che sarebbero interessanti a più voci. Qui posso solamente fare solo pochi esempi. Le fotografie chiamiamole “artistiche” vedono sempre più il mezzo fotografico come medium e aggiungono tanti altri elementi di diversi generi, come fili (per cucire, ricamare le fotografie), interventi cartacei, inserimento di fotografie vernacolari, etc. C’è molto fervore in questo campo, favorito anche dall’interesse sempre più nutrito verso fanzine e zine in generale.

Per la foto più di “documentazione” a mio avviso si ci muove in maniera sempre più verticale, cercando di raccontare storie di persone, di quotidianità che si muovono all’interno di eventi e situazioni anche difficili. Per quanto riguarda i temi, quello della sostenibilità è uno dei più affrontati con storie spesso positive e coraggiose (per fortuna) che ci riportano soluzioni di innovazione e di speranza.

Angelo Zzaven: Antonella, la nostra chiacchierata volge al termine, come faccio sempre, ti chiedo di rispondere a una domanda che non ti ho fatto. Ti ringrazio per la disponibilità e la pazienza.

Antonella Monzoni: Cos’è per te la fotografia? Una fotografia è il risultato di un incontro e l’inizio di una conversazione. Non è una mia definizione, è di Daniel Palmer (ricercatore e teorico d’arte contemporanea). Mi ci ritrovo appieno.

Grazie a te!

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