Marco Guidi

La fotografia nasce per prima cosa come emulazione nei confronti di un mio zio che fin da giovane aveva questo interesse. Semplicemente perché con una macchina fotografica mi sembrava felice, e volevo esserlo altrettanto”

Angelo Zzaven: Marco ti ringrazio per avere aderito a questo progetto a cui tengo molto. Ti sono grato, anche, per avermi fatto incontrare, nel lontano dicembre 2018, Giuseppe Cicozzetti, persona squisita con cui ho avuto modo, in seguito, di collaborare in varie attività. Per iniziare vorrei che mi parlassi di te: chi sei, cosa fai, come nasci fotograficamente?

Marco Guidi: Ciao Angelo, in realtà non conosco personalmente Giuseppe, ma solo virtualmente. Ho sempre apprezzato i suoi scritti, che mi hanno poi avvicinato al fare, a modo mio, la stessa cosa nei confronti di certi autori, per circa un paio d'anni. Alcuni miei testi sono raccolti in una sezione apposita del mio sito web. Sono una persona di 31 anni, classe 1992, con molti interessi, nati come tali poi sfociati in passioni, esigenze forti. Ho sempre cercato di concretizzare degli obiettivi che mi facessero sentire realizzato in ogni ambito di attività. Ho iniziato con la musica, che è stata la mia prima passione, e nei due anni successivi alla maturità ho registrato un concept album ispirato al film Excalibur di John Boorman del 1981. Poi scrivo, ho all'attivo un paio di romanzi e delle poesie, amo andare in mare, e fotografo per l'appunto. Nella vita di tutti i giorni lavoro dal 2015 come responsabile in una ditta in parte della mia famiglia. Nel 2019 mi sono laureato a Roma, in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali.

La fotografia nasce per prima cosa come emulazione nei confronti di un mio zio che fin da giovane aveva questo interesse. Semplicemente perché con una macchina fotografica mi sembrava felice, e volevo esserlo altrettanto. Per la Prima Comunione mi è stata regalata una compatta a pellicola. Ero molto amante della montagna e subito ho realizzato i primi rullini a colore fotografando con una tecnica terribile ogni veduta, dettaglio o elemento che potesse poi rafforzare il ricordo di quelle esperienze. Poi sono arrivati i primi telefoni con fotocamera, avevo circa tredici anni e da quel momento fino ai 21 anni circa, ho solo fotografato per ottenere fotoricordo che ho iniziato a stampare solo una volta terminato il liceo. Tuttavia la realizzazione e la stampa di fotoricordo sono un'attività che periodicamente porto avanti. Nel 2013 ho iniziato a usare una reflex digitale che era stata regalata a mia sorella, però sono stato io quello ad appassionarsi sul serio, dopo la prima parentesi di cui raccontavo sopra. Mi sono iscritto al circolo della mia zona, che mi ha permesso di crescere tecnicamente. Poi senza dilungarmi ancora di più, negli anni sono approdato alla fotografia analogica, la Polaroid e anche al grande formato. Ecco, a differenza di tanti autori, il mio primo approccio con la fotografia non è stato con le idee chiare e legato alla progettazione. Inizialmente per oltre due anni sono stato legato ad un'idea più fotoamatoriale, inerente al mondo dei concorsi. Arrivare ad una fotografia più raffinata e consapevole è stato un percorso lento, che gradualmente mi ha portato ad avere una visione più precisa, grazie allo studio e alla consultazione di tanti libri e del lavoro di svariati artisti e fotografi.

Angelo Zzaven: ... sei riuscito, poi, a provare quella sensazione di fecliità che avevi percepito in tuo zio... scherzo! Il tuo avvicinamento alla fotografia autoriale è avvenuta per tappe e tentativi sorretti da passione e curiosità. Quando hai avuto la percezione precisa di questa maturazione e a quale dei tuoi lavori la leghi?

Marco Guidi: In questa risposta sarò più breve, ma a dirti la verità, si, quella sensazione l'ho provata, evidentemente anche in misura maggiore rispetto a quanto mi ero prefissato. Anche perchè poi nonostante i pochi anni, sono riuscito ad approfondire molto più di quanto abbia fatto lui. Certo è vero che all'epoca sua, i mezzi e le occasioni erano meno. Mi ha regalato anche il primo ingranditore, un Durst M301. Per rispondere alla seconda parte della domanda, devo dividere la mia risposta in due parti. Per prima cosa, un sentore di maturazione, il primo salto da una visione generica, superficiale e fotoamatoriale, l'ho avuto iniziando a conoscere il lavoro di Luigi Ghirri. Questo tra il 2016 e il 2017. Di conseguenza, pur senza mai emularlo in modo diretto (ci mancherebbe altro!) , la prima percezione legata al fatto di aver realizzato un lavoro discreto è stata con il lavoro "Wayne", realizzato tra il 2017 e il 2018. Ricordo che una sera lo feci vedere a Silvio Canini, che in quel periodo e non solo mi ha insegnato tantissimo (Ero fissato con Venditori d'Ombra) e lo aveva apprezzato! Quella notte non chiusi occhio, ero felice. Poi tra il 2017 e il 2019 sulla spinta Ghirriana, ho realizzato _Underscore_. Ovvio che sono lavori, in particolare il secondo, che considero superati a livello di poetica e approccio, nel mio lavoro.

Marco Guidi

Angelo Zzaven: In “Underscore” mi sembra ancora molto presente l'influenza di Luigi Ghirri, con questo non voglio dire che è un fatto negativo, anzi; le influenze, le contaminazioni sono le basi essenziali per uno sviluppo maturo della propria autorialità. Quali altri artisti, non necessariamente del mondo della fotografia, hanno inciso nella tua formazione?

Marco Guidi: Si è verò, inevitabilmente l'influenza c'è, però trovo che la diversità sia strettamente legata all'impaginazione e al modo di strutturare la sequenza. Tuttavia, anche in quel lavoro una parte della gestione dello spazio bianco attorno alle fotografie, deriva da un insegnamento Ghirriano. Per quanto riguarda altri artisti, fuori dal mondo della fotografia posso citarti al primo posto in assoluto Federico Fellini. Poi Dante Alighieri. Nella musica in primis i Pink Floyd, Eric Clapton, John Lennon, gli Stones, da cui ho anche avuto l'ispirazione per un romanzo futuro. Però in qualche modo tutto questo si lega alla fotografia. Le copertine di alcuni album, le "Immagini" che la musica stessa e la sua storia offrono indietro, in fin dei conti non sono altro che delle fotografie dalle quali si proietta una sorta di atmosfera respirabile soggettivamente. Poi per quel che concerne altri fotografi, devo nominarti Paolo Roversi, con il quale più che la forma condivido tantissimo il pensiero e l'approccio. Robert Adams, Joel Meyerowitz, Judit Joy Ross e Jamie Hawkesworth. Poi la lista sarebbe ancora più lunga.

Angelo Zzaven: C'è da dire anche che le influenze, le contaminazioni, a volte possono risultare invadenti a tal punto che diventa complicato far emergere la nostra personalità, il nostro pensiero, la nostra fotografia. Io stesso, in passato, ne ho subito le conseguenze, sfociate in crisi più o meno lunghe di allontanamento dalla fotografia. Per fortuna seguite da ripartenze con nuovi occhi e nuovi bisogni. Ti è capitata questa cosa e se si, cosa ti ha fatto ripartire?

Marco Guidi: Si certamente, per fortuna come dici tu, ogni volta si riparte con una motivazione in più, le ragioni sono le più svariate. Da una nuova idea alla scoperta di un nuovo autore con cui si scoprono affinità impensate. Faccio un esempio. Una volta un amico c'era rimasto male perché ad una lettura Portfolio una sua serie non era stata capita. Alla lettura successiva, un tale Larry Fink gli disse che apprezzava talune fotografie, con cui si trovava in sintonia. Questo per dire che in simili ambienti è anche facile scoraggiarsi o sentirsi confusi. Parlando di me, e penso sia visibile nel mio lavoro, ho avuto spesso una sorta di disorientamento, apprezzando il lavoro di svariati fotografi e faticando, per via di tante influenze, a trovare una strada definita. In questo forse sono riuscito solo nell'ultimo anno e mezzo. Viceversa, prima cercavo una forma diversa, quasi un fondamento autoriale vario e spersonalizzante per ogni lavoro o piccolo progetto che mi apprestavo a svolgere. Altre volte osservando e studiando con attenzione e passione il lavoro di altri, specialmente i grandi, ci si sente inizialmente in soggezione, guardando con inutilità alla propria produzione in un primo momento, per poi sentirsi spronati nel fare sempre meglio, a non sentirsi mai del tutto arrivati nell'ambito del proprio progetto.

PS. Aggiungo che quando capitavano queste piccole crisi di cui ti parlavo, una cosa che mi ha aiutato, nonostante non fossero mai pause di riflessione non troppo lunghe, era il fatto di chiedermi cosa mi avrebbe fatto felice o cosa avrei potuto dare io, in base alle mie capacità, all'essere me stesso con il mio carattere, alla fotografia. Questo aiuta a discernere su cosa fare o non fare.

Marco Guidi

Angelo Zzaven: Le immagini che ho scelto per accompagnare questa intervista fanno parte del progetto “ALDO ROSSI NUDES“. Mi parli di questo lavoro, delle motivazioni, del concetto che lo sottende?

Marco Guidi: Dafna Talmor, nel libro "Constructed Landscape" ha posto in essere un raggiro visuale intelligente, un offuscamento metaforico e temporale dei luoghi che è estremamente intrigante. Nel suo lavoro vengono manipolate e tagliate parti di negativi fino a creare delle forme, ottenendo uno spazio virtuale che si apre dietro la superficie. Un'operazione che a me personalmente ha ricordato i nudi di Carta. Da Matisse alla Talmor, fino al fortunato binomio "Ritmico" tra fotografia e segno grafico di Wes Mills e Raymond Meeks, è come se si potesse udire un richiamo, tramite un'astrazione estrema che fa breccia nel reale, alla necessità di riaffondare le radici in un concetto di assoluto inteso come pacificazione sensoriale. Questa sorta di pacificazione, è intesa da me come il tentativo di ricucire uno strappo prima di tutto visuale e culturale, creato dalla diffusione dell'immagine unaria, ovvero pornografica. Siamo circondati di architettura e design quanto di pornografia solo che a differenza di questa, i primi spesso vengono ignorati. La pornografia viene condivisa in modo inflazionato. L’architettura invece viene annullata dallo sguardo. Oltretutto arte e pornografia sono agli opposti. Allora ho scelto un architetto e designer che amo, come esempio, quale Aldo Rossi e ho creato un’astrazione trasportando le sue opere in un ambiente comune e noto come la spiaggia, ma privo di architetture intese come opere d’arte e luogo di diffusione di una fisicità messa in mostra simbolico e allusivo in merito all'influenza dei media. Al tempo stesso ho abbinato corpi nudi che vivono quasi di una loro nuova anatomia organica, a volte indefinita, straniante, rinati a partire da immagini pornografiche scaricate dal web o dai file poi stravolti che ricevo involontariamente tramite WhatsApp in chat di gruppo o addirittura di lavoro. Da immagini “Oscene e unarie”, ho ottenuto immagini semplicemente più sensuali e misteriose. Così il pornografico ottiene una redenzione, l’architettura un riscatto visivo. Tramite un’operazione di ecologia, riequilibrio fotografie che ora hanno come obiettivo il rinnovato stupore tipico del sogno, classificabili in un contesto non solo di Post-Fotografia, ma anche di un’ipotetica Post-Topografia.

Angelo Zzaven: Davvero interessante, sia il procedimento che hai seguito sia il risultato. Ritieni che sia un lavoro chiuso o pensi di lavorarci in futuro?

Marco Guidi: Ti ringrazio, anche perchè tranne una fotografia che aveva avuto riconoscimenti e diversi apprezzamenti, è un lavoro che è rimasto molto nell'ombra, poco apprezzato. Ma non è un problema, ho sempre fatto fotografia per me stesso. Assolutamente, lo ritengo un lavoro chiuso, nonostante il tema del nudo in sé è un'area di ricerca che mi interessa e a cui tengo molto, come se fosse un cantiere aperto. Ho molte fotografie inedite su questo. Inoltre sullo stesso filone di ALDO ROSSI NUDES, avevo pubblicato in poche copie una fanzine che partiva sempre dal pornografico fino ad approdare al tema delle Veneri Paleolitiche.

Marco Guidi

Angelo Zzaven: A proposito di pubblicazioni, mi parli dei libri che hai pubblicato, del tuo essere narratore, poeta... di questa connessione tra scrittura e fotografia?

Marco Guidi: Beh di pubblicazioni ne ho fatte diverse, alcune autoprodotte altre con editore. C'è da dire che ho sempre sentito l'esigenza di portare su carta il frutto del tempo trascorso, quasi come se fosse una sorta di ringraziamento. Una mia pubblicazione fotografica autoprodotta che è andata benino anche a Milano, dove l'avevo portata in una libreria, è stata AMERICA LIFE, un libro realizzato interamente con Polaroid sx70. Ora sono molto concentrato su ADRIATICO, che vorrei uscisse il prossimo anno. Per quanto riguarda le pubblicazioni fuori dall'ambito fotografico, ho scritto due romanzi, e altri ne sto scrivendo pian piano, alternando i periodi di produzione fotografica a quella letteraria, per così dire. Lo scorso anno tramite la casa editrice Dialoghi, ho pubblicato il mio primo romanzo intitolato "L'Adriatica scorre negli anni'80" (https://www.edizionidialoghi.it/negozio/LAdriatica-scorre-negli-anni-80-p472652248), un giallo/noir ambientato in Romagna, dove la componente fotografica ma anche cinematografica è forte. È infatti, in buona parte, un tributo per immagini sia alla Romagna, della quale rappresenta una sorta di affresco, sia alla mia pellicola cinematografica preferita, Amarcord di Federico Fellini. Ho terminato da poco il secondo romanzo, dal titolo Bokeh, una storia introspettiva ambientata frettolosamente (è la storia di una giornata) in una Roma immaginaria, in cui la fotografia in sè c'entra poco ma è notevole invece la presenza dell'indagare dentro noi stessi a partire dalle immagini che derivano dai sogni. Ho scritto anche una raccolta di poesie, assolutamente tutte inedite, quindi deve ancora essere pubblicata. Il mio essere "poeta", scritto tra virgolette perchè i veri poeti sono altri, rappresenta forse la connessione più ampia nei confronti della fotografia, in quanto scrivo, senza alcuna regola e metrica, delle frasi le quali non sono altro che la rappresentazione di immagini dalle quali respiro atmosfere, odori ed essenze di un passato neanche troppo remoto, ma per via del lavoro, del diventare grande e soprattutto della fretta di tutti i giorni, non riesco più a vivere con la calma di un tempo. Le mie poesie sono anche tributi a personaggi che mi piacciono, più o meno noti, ma anche semplici ricordi di bambino.

Angelo Zzaven: Bella questa idea di vedere la poesia come “contenitore di recupero” di un passato prossimo e/o di un presente che rischiamo di perdere a causa di una quotidianità ormai drogata dalla fretta e dalla fugacità della vita. Mi hai fatto riflettere... capita anche a me di scrivere poesie, è questa forse, potrebbe esserne una sua giustificazione?

Marco Guidi: Credo che la giustificazione della poesia (così come la poesia intesa come dimensione intima del fotografico) e dell'arte in generale, stia proprio nel compensare il limite umano del non poter essere contemporaneamente ovunque ci porti la mente. Ma è anche la ricerca di una soluzione al problema umano del trascorrere del tempo. Molte persone, artisti o meno, vivono nella continua attesa che accada qualcosa. Io sono per vivere sempre nel presente, senza affrettare il passare del tempo. L'arte è dunque una via per valorizzare il Qui ed Ora.

Marco Guidi

Angelo Zzaven: […] un dato di fatto è che oggi la maggior parte delle immagini che vediamo è costituita da facce, la televisione al 99%, è piena di facce. Quello che abbiamo attorno non viene mai rappresentato... all'incapacità di rapportarci con lo spazio, con l'ambiente, corrisponde un'assenza di rappresentazione, e in qualche misura un atteggiamento di incuria nei confronti delle problematiche ambientali, ecologiche. Che cosa pensi di questo pensiero di Luigi Ghirri?

Marco Guidi: Il pensiero di Luigi Ghirri è sempre stato straordinariamente attuale. Purtroppo non è vissuto abbastanza da vedere come si sarebbe evoluta la situazione che già con lungimiranza aveva inquadrato. Oggi avrebbe avuto esattamente 80 anni. Se allora la televisione era piena di facce, oggi c'è il tema, già ormai retorico, dei social network, individualismo e autopromozione di sè, l'utente è come un'azienda che gestisce la sua immagine tra like e tornaconti vari, in termini di autostima e anche sex appeal. La fotografia in questo non ha nessun valore culturale, tantomeno espositivo, almeno nella concezione che ci aveva indicato anche Walter Benjamin. Detto questo però c'è anche da dire che a livello ecologico, se già ai tempi di Ghirri la fotografia poteva dare un'idea di incuria nei confronti di tali tematiche, oggi non è cambiato molto, ma la grande differenza mi pare stia in gruppi di persone che tramite mezzi espressivi diversi si rendono conto delle grandi emergenze legate a questi ambiti. Non mi riferisco affatto però al fenomeno degli imbrattatori. In conclusione, legandomi anche alla visione della Sontag, mi viene da dire che una certa fotografia d'autore, proprio per il suo porre una forma di pathos e bellezza prima dell'effettiva problematica, non ha mai sollevato la gravità di questo se non limitandosi a sussurrare una sua rappresentazione.

Angelo Zzaven: Hai detto che stai lavorando su un libro fotografico e un'altro letterario, che presto vedranno la luce. Ci sono altri progetti, sogni, ambizioni a cui vuoi dar seguito in futuro?

Marco Guidi: Si, anche se poi vorrei dilazionarli il più possibile, in quanto tendo ad essere una persona a volte frettolosa, presa dall'impeto e dalla passione del fare e non mi godo mai troppo il lavoro finito. Come ti dicevo, vorrei uscire entro l'anno con il secondo romanzo e il prossimo inverno con ADRIATICO, un libro fotografico derivante da un progetto molto sentito e importante per me. Poi, credo farò una pausa. Con calma porterò avanti "L'Interlocutore", un romanzo iniziato l'estate scorsa, e penso mi dedicherò più saltuariamente alla parte fotografica che ho deciso di portare avanti, i ritratti in formato 20x25 cm.

Marco Guidi

Angelo Zzaven: Marco, siamo giunti alla fine di questa breve chiacchierata, ti ringrazio per la disponibilità e la pazienza. Come ultima cosa, mi rispondi a una domanda che non ti ho fatto?

Marco Guidi: La domanda che mi farei è cosa ne pensi del sistema della fotografia italiana oggi? Per prima cosa parlo, come poi faccio sempre, non per partito preso, cercando di essere il più oggettivo possibile. Innanzitutto, rispetto al passato, e questo lo dico perché più di una persona me lo ha raccontato, oggi ci sono molte più vie per formarsi anche ad alti livelli. Ci sono diversi autori anche abbastanza giovani che sono molto validi e preparati. Poi restano attualissimi e di grande spessore culturale, oltre che dotati di spiccata intelligenza visiva, autori come Guido Guidi, che negli ultimi anni è stato confermato e riconosciuto come un grande autore a livello internazionale.

Devo dire che trovo, a mio avviso, soprattutto in determinati ambiti, una sorta di inclinazione esagerata verso questo storytelling che da indefinite radici che si intrecciano tra il fotogiornalismo e il reportage, tende ad oggettivizzare la fotografia, incentrando tutto su una narrazione lineare, che poca libertà lascia alle incursioni visionarie e delle indicalità che convergono anche con altre discipline o altri "mondi". Questo credo sia legato anche alla diffusione delle letture portfolio, che in molti casi vanno a svilire il lavoro dell'autore, perchè di primo acchito giudicato poco interessante, non d'impatto o poco emozionante (Già la parola emozione in fotografia è molto travisata e spesso priva di fondamenti culturali). E' come se tutto questo volesse portare invece che alla valorizzazione, ad una decrescita degli autori, in un sistema editoriale già a terra, dove si tende a uniformare il tutto. Credo, e questo è una piccola critica ai cosiddetti lettori, che sia impensabile voler comprendere un qualcosa tramite dei meccanismi standard, quando in alcuni casi ciò che è presente nelle fotografie e gli eventuali richiami che queste possano avere con la storia e il mondo, sfugge completamente a tali sistemi e si eleva a qualcosa di più di una semplice comunicazione base (Che odiosa la domanda, cosa volevi raccontarmi con questa foto). In fin dei conti, anche per via delle regole che vigono nella presentazione dei lavori, com'è possibile comprendere un' opera con pochi pezzi stesi su un tavolo, in pochi minuti? Penso sia più intelligente mostrare un lavoro intero, che un portfolio. Questo è un mio pensiero che nulla pretende se non l'essere espresso, a difesa di tanti autori ignorati e bistrattati.

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