SARO DI BARTOLO
“... so benissimo che molti dei miei scatti più coinvolgenti derivano senza dubbio dagli oltre 3 metri lineari di giallo che si spalmano lungo i miei scaffali. Se si escludono dei numeri storici comprati nel mercatini, i volumi del National Geographic Magazine più vecchi che ho risalgono al 1976. Per anni ho sfogliato, letto, più e più volte quelle pagine ricche di capolavori”
Angelo Zzaven: Saro, ti ringrazio per avermi concesso questa chiacchierata, ne approfitto per conoscere meglio un percorso lunghissimo, (recentemente hai festeggiato i 50 anni di fotografia), chissà quante storie/aneddoti potresti raccontare della tua vasta produzione. Per iniziare vorrei che mi parlassi di te, di quello che fai, dei tuoi inizi in fotografia.
Saro Di Bartolo: Se c'è qualcuno che si sente piacevolmente in dovere di fare dei ringraziamenti, allora quello sono io, per l'onore che mi concedi nel coinvolgermi in questa tua bellissima iniziativa. Un serie di interviste che mi collocano in compagnia di vere personalità nell'ambito dell'arte fotografica. Eh sì, sono cinque decenni quelli che il Comune di Rimini ha tenuto a festeggiare, facendomi omaggio di una grande mostra (601 stampe) presso la sezione Arte Moderna del "Museo della Città”. Mezzo secolo celebrato insieme ad ISAL, Fondazione che si occupa di ricerche sulle terapie per combattere il dolore ed a cui è stato devoluto il ricavato dalla vendita delle foto. Ciò ci porta alla tua domanda su come ho iniziato. A 12 anni, allora vivevamo negli USA, i miei genitori mi regalarono una scatoletta in bachelite di colore marrone, che si chiamava "Kodak Brownie" ...anzi, dovrei dire "si chiama”, visto che la posseggo ancora. E' iniziato tutto così, ma le svolte sono giunte a tappe. La prima fu quando mio padre portò a casa una copia della rivista LIFE. Un evento inusuale, direi eccezionale, dato che gli operai italiani emigrati in America non compravano riveste americane. Sulla copertina, la rivista la posseggo ancora, appare Jacqueline Kennedy vestita a lutto, un evento troppo immenso per essere abbracciato dalla mente di un ragazzino. Ciò che però scoprii sfogliando le pagine, la prima rivelazione, fu che, oltre ai fiori di mamma in giardino, le torte di compleanno, i regali di Natale e così via, vi era un intero mondo la fuori di cose che avrei potuto fotografare! Seguì l'acquisto di un volumetto dal costo di $1.25, intitolato "Photography, a Golden Handbook" che, ormai è ovvio, conservo ancora. Grazie al "Manuale d'Oro della Fotografia", giunsero le grandi scoperte: fu allora che "inventai" l'obiettivo macro: mettendo una lente dei vecchi occhiali di mia mamma davanti all'obiettivo, i fiori divennero finalmente a fuoco!
Senza che mi prolunghi ulteriormente (spero di non essere stato noioso), una decina d'anni dopo acquisto la mia prima reflex: una Zeiss Ikon Contaflex Super BC di seconda mano, costata 90 mila lire, l'equivalente per me di un mese di stipendio. Una fotocamera rivoluzionaria per l'epoca, di altissima qualità con esposimetro al silicio integrato ed un eccellente obiettivo Carl-Zeiss Tessar 2.8/50. Inoltre, aveva i dorsi intercambiabili, funzione unica e poi sparita nelle 35mm successive, che permetteva in qualsiasi istante di cambiare la pellicola!
Nel 1977 la mia prima tessera FIAF. Nel 1980 organizziamo il 32° Congresso Nazionale FIAF a Rimini. Incoraggiato da amici carissimi, lo scorso mese, dopo oltre 40 anni, mi sono tesserato nuovamente. Svolgevo la professione di interprete, ma gli impegni di lavoro non mi impedirono di continuare con la fotografia, che da "hobby evoluto" si trasformò in una professione parallela alla prima, un lavoro che a sua volta portò reddito. Lungo la strada tante mostre e riconoscimenti, di cui il primo tra quelli più prestigiosi arriva nel 1993 quando su 15mila foto, provenienti da tutto il mondo, mi classifico 1° vincendo il Grand Prize del concorso internazionale della United Airlines ...ed ecco che via via sono trascorsi più di 50 anni.
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Saro Di Bartolo |
Angelo Zzaven: Hai detto che da bambino hai vissuto negli USA, posso chiederti di raccontarmi qualcosa di quegli anni? Dove e per quanto tempo hai vissuto negli States?
Saro Di Bartolo: Mio padre era stato prigioniero di guerra negli USA e si innamorò di quel paese a tal punto che pure da anziano ripeteva spesso: "il periodo più bello della mia vita fino ad allora". Figlio di contadini siciliani ed orfano di padre a dieci anni, fu sulla nave che lo portava alla "prigionia" che per la prima volta consumò tre abbondanti pasti al giorno ed indossò la sua prima maglietta bianca di cotone. Quella però è un'altra storia che, sebbene affascinante, non ha nulla a che vedere con la fotografia.
Tornato in Sicilia alla fine del conflitto decise che ad ogni costo l’America sarebbe diventata la sua terra. Partiti poco dopo la mia nascita, siamo all'inizio degli anno '50, ci stabilimmo a Norwich nelle stato di NY, una di quelle tipiche cittadine proposte innumerevoli volte da Hollywood: tutte le casine colorate con tonalità di pastello, la staccionata bianca ed il prato, di un verde abbagliante, perfettamente curato. Fu li che fotografai i miei primi fiori. Fai conto Angelo la cittadina del Milwaukee di "Happy Day" oppure quella fittizia de "The Truman Show", il film con Jim Carrey.
I ricordi che ho sono molti e sono quelli di un ragazzino che andava a scuola, giocava a baseball, e faceva tutte le cose che fanno gli adolescenti nei film americani. Quando tornammo in Italia ero ormai un "teenager" e ricordo che non mi fu facile ambientarmi nel vecchio mondo, tanto più non parlando l'italiano, ma conoscendo solo poche parole di lingua siciliana.
Angelo Zzaven: Guardando le tue immagini, spesso, mi sorprendo a pensare quanto siano belle e coinvolgenti. Mi chiedo come arrivi a questa bellezza, quali influenze, quali libri, quale musica hanno formato la tua visione, la tua creatività?
Saro Di Bartolo: Innanzitutto ti ringrazio di queste tue generose parole nei miei confronti, pensieri che espressi da te, persona e fotografo che stimo molto, significano molto per me.
Da dove la mia fotografia arriva è una bella domanda, che presuppone una nitida risposta. E' difficile dirlo in poche parole. Le influenze che si sono accumulate negli anni sono state molteplici, certamente quelli dei libri dei maestri, ma non di meno le pubblicazioni di fotografia in genere, tra cui i cataloghi delle mostre: specchi e testimonianze delle trasformazioni ed evoluzioni che hanno caratterizzato sia l'arte fotografica, che la nostra società. Credo che la mia creatività sia pure il risultato della mia "irrequietezza" nel fotografare. Fin dall'inizio sono sempre stato molto curioso di provare, cambiare, sperimentare: dopo avere fatto conoscenza con un tipo di fotografia, mi avvicinavo ad un altro genere, per capirne le modalità e le tecniche ...e poi via in un'altra direzione ancora. Insomma, acquisita una capacità, mi rivolgevo ad un genere diverso. Non ho dubbi nell'affermare che più si accumulano esperienze e più si diventa creativi. Chi mi segue su FB sa che ogni giorno propongo un'immagine e sa pure che difficilmente offro lo stesso tema in successione. Se oggi posto un paesaggio, domani sarà un ritratto, l'indomani ancora un'architettura e così via. Ne parlo solo per ultimo, ma so benissimo che molti dei miei scatti più coinvolgenti derivano senza dubbio dagli oltre 3 metri lineari di giallo che si spalmano lungo i miei scaffali. Se si escludono dei numeri storici comprati nel mercatini, i volumi del National Geographic Magazine più vecchi che ho risalgono al 1976. Per anni ho sfogliato e letto, più e più volte, quelle pagine ricche di capolavori di fotoreporter da cui ho tratto ispirazione ed imparato. Dalla "Afghan Girl" di Steve McCurry nella rivista del giugno 1985, agli scatti di James Nachtwey, Sebastião Salgado ed infiniti altri. Potevo mai avere dei maestri più grandi di così?
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Saro Di Bartolo |
Angelo Zzaven: Le poche immagini che ho scelto per accompagnare la nostra chiacchierata sono state fatte in uno dei luoghi più spettacolari della terra (Antelope Canyon - Arizona). Come nasce questo lavoro e quanto tempo impieghi, in genere, nell'organizzazione di un viaggio, ti documenti, studi, confronti il lavoro di altri?
Saro Di Bartolo: Antelope Canyon è in effetti un luogo straordinario, una meraviglia della Natura che ho visitato e fotografato in due distinte occasioni. Per evitare di andare fuori tema, sebbene a malincuore, non sto però ad entrare in merito al luogo. Cerco invece di rispondere alla tua domanda. Questo lavoro, come del resto tanti altri del genere o comunque connessi al viaggiare, di tempo ed impegno a monte ne richiedono parecchio. É evidente che non ci si sposta dall'Italia, percorrendo migliaia di chilometri in aereo e poi in auto per fotografare un singolo luogo o tipologia di luoghi. Come hai anticipato Angelo nella tua domanda, tutto nasce da ciò che potremmo chiamare simpaticamente una "illuminazione", che scatta nel momento in cui ti spunta in testa l'embrione di un progetto. Decidi di andare in America a documentare i canyon più spettacolari ed ecco che tra essi si acclude Antelope. Si incomincia con il documentarsi, cosa che un tempo si faceva sui libri, articoli su riviste, enciclopedie, opuscoli e cataloghi reperiti nelle agenzie di viaggio, ecc.. Oggi l'impresa è infinite volte più semplice e la riuscita più garantita. Un esempio potrebbe essere quello di quando nacque l'idea e poi il progetto di fotografare le città fantasma del South West americano, il Far West per intenderci. La ricerca e comprensione di quali luoghi, “ghost town” reali e non set di film western, nasce grazie ad internet. Poi, una volta individuate le mete da raggiungere, tramite Google Immagini si va a vedere le foto dei singoli luoghi realizzati da altri. Così ci si fa un'idea del quanto valga o meno la pena raggiungere quella singola meta. Uno strumento che trovo utile per capire se le buone foto ci sono è "500.px", un sito dove postano molti fotografi capaci. Vedendo i loro scatti mi dico: "se le ha fatte Tizio delle foto così belle, io non sarò da meno" oppure "Se Caio, che è uno bravo, non è riuscito a fare meglio di così, non sto a perdere tempo per andarci". Appurato che il soggetto c'è, si procede mettendo un bel puntino rosso sulla mappa degli USA. Finito di mettere i puntini, si scelgono i migliori percorsi stradali, percorrendo i quali unire i puntini, spostandosi da un luogo ad un altro. Se mi domandi quanto tempo richiede un lavoro così, io ti rispondo che è molto difficile quantificarlo, ma che se si vuole preparare un viaggio fotografico seriamente, in maniera ben mirata, di tempo ne occorre parecchio ...anche mesi. Nel caso specifico, rimanendo in tema di fantasmi, poiché si attraversava un territorio dove erano presenti pure dei cimiteri degli aeroplani, ai puntini rossi delle città abbandonate furono uniti quelli verdi degli "sfasciacarrozze" dei velivoli, abbinando insieme due progetti.
Il risultato finale del mio lavoro sui "ghost town" è una mostra in B&N più volte apprezzata. Una raccolta che, insieme alle foto dei rottami di aeroplani ed una trentina di altri temi, fa parte della mostra antologica che sono stato invitato a presentare a fine ottobre a Piacenza, in occasione del Congresso FIAF dell'Emilia Romagna.
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Saro Di Bartolo |
Angelo Zzaven: Saro, so che spesso nei tuoi viaggi ti fai accompagnare da tua moglie Giulietta, anche lei brava fotografa. Insieme formate una coppia esplosiva, quanto è stata importante la sua vicinanza nella tua fotografia?
Saro Di Bartolo: Proprio così infatti, siamo una coppia davvero molto affiatata e ciò vale pure per la fotografia. Mi chiedi quale sia stato il suo ruolo nella mia fotografia ed è con piacere che ti rispondo. Partiamo insieme già dall'ideazione e la programmazione, di cui ho parlato rispondendo alla tua domanda precedente, per fare poi squadra quando ci rechiamo sul campo. Chi mi conosce e mi segue fotograficamente da tempo, può confermare che la mia produzione ha tratto vantaggio della sua vicinanza, specialmente nell'ambito della "street" dove Giulietta eccelle.
Fino ad un certo punto della mia crescita, come ho accennato prima, mi sono dedicato a tanti generi e mi sono fatto conoscere prevalentemente per i miei paesaggi. Lei ha stimolato il mio interesse verso il mondo meraviglioso della street a cui, pur viaggiando molto, mi dedicavo meno. Ho imparato da lei le modalità discrete con cui introdurmi delicatamente in una scena ed amalgamarmi con tatto in essa, al fine di riprendere le persone "al naturale". E' lei che col suo sorriso rompe il ghiaccio e fa da apripista nelle situazioni più delicate. Un ricordo significativo tra i tanti: quando in una accampamento di nomadi curdi, sui monti a sud di Van, mi fece accettare dalle donne, i cui mariti erano via nei pascoli. A gesti e sorrisi fece si che permisero pure a me di entrare nell'accampamento e fotografarle ...in quei luoghi, ciò che fece non fu un'impresa da poco!
Angelo Zzaven: Gli elefanti, il mare, la nebbia sono gli elementi di una fotografia mai fatta. Mi racconti questa storia dai tratti felliniani? Ti capita spesso di fotografare solo con gli occhi?
Saro Di Bartolo: Era un tardo pomeriggio d'inverno ed una nebbia fittissima sommergeva la vasta e vuota spiaggia di Rimini. Decido di sfidarla e fare una passeggiata lungo il bagnasciuga. La nebbia era fitta a tal punto che si riusciva a vedere appena la risacca e non oltre. Dato che tra poco avrebbe fatto buio e vista l’impossibilità di fotografare per via della nebbia, decido di lasciare la reflex ben custodita nel suo solito angolino del bagagliaio. Quasi per magia, in un punto appena oltre la riva si dirada a chiazze la nebbia e dal nulla più totale eccoli apparire: tre elefanti che giocano nell’acqua insieme al loro addestratore. Proprio davanti a me ecco una scena veramente felliniana. Parte subito nella mia mente una raffica di “scatti onirici”: forse le foto più belle che non ho mai fatto! Seppi poi che il Circo Orfei si era installato nei pressi e l’addestratore aveva portato le bestiole a sgranchirsi le zampe! Morale: non recarti mai su un spiaggia nebbiosa senza macchina fotografica! Se mi capita spesso di fotografare solo con gli occhi? Non passa giorno! Mi capita perfino davanti alla TV. Sto guardando ad esempio un documentario e d'improvviso mi scappa ad alta voce di dire "click" ...mia moglie sa che ho appena inquadrato uno scatto che valeva la pena estrarre dal documentario come singolo fotogramma.
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Saro Di Bartolo |
Angelo Zzaven: All'inizio di questa chiacchierata mi hai detto che di lavoro, in passato, hai fatto l'interprete. Mi racconti qualcosa di questa fase della tua vita?
Saro Di Bartolo: Avevo 25 anni ed insegnavo inglese quando mi chiesero se ero disponibile a fare da interprete ad un convegno. Iniziò così ed essendomela cavata bene, mi trovai presto con una bella clientela, composta da istituzioni, aziende e privati. Le richieste crebbero in fretta e nel corso di una quarantina di anni ho assistito innumerevoli personaggi della politica, dell'industria, del giornalismo, dello spettacolo, della cultura, ecc. Per nominare qualcuna delle personalità più note: George Bush sr., Michail Gorbačëv, Henry Kissinger, Giulio Andreotti, Christiaan Barnard, Bruno Vespa, Enrico Mentana, Sting, ecc..
Oltre ad un'infinità di emozioni e soddisfazione la professione mi permise pure di viaggiare e, quando possibile, di approfittarne per fotografare.
Angelo Zzaven: Fotograficamente ci sono viaggi che avresti voluto fare e non hai fatto, hai in programma qualcosa nel prossimo futuro?
Saro Di Bartolo: Certamente sì. Per quanto si possa avere viaggiato e documentato, vi sono sempre mete che un fotografo desidera visitare o dove desidera ritornare. Io ne ho diverse, ma purtroppo la pandemia ha alterato e rallentato parecchio la successione dei diversi progetti di viaggio. Specie verso i paesi dove le condizioni sanitarie sono tali da associare il Covid ad un decesso quasi certo. Per dirlo in altri termini, una cosa è essere vittima del virus in Canada, mentre tutt'altra storia è esserlo in Bangladesh, dove le possibilità di ricovero, assistenza e cura sono a livelli così bassi che ben difficilmente si torna a casa ...con le proprie gambe! Uno di quei paesi è ad esempio il Laos, in programmazione già prima della tragedia sanitaria mondiale, ma dove ritengo sia ancora impossibile viaggiare senza rischio. In programma nel prossimo futuro? Da fine aprile ad inizio giugno saremo a fotografare in giro per gli USA. Partiremo da Atlanta, dove ho alcuni incontri connessi al mio ruolo di Ambassador in Italia della "Besharat Art Foundation". Il progetto "Art in Schools", concepito e finanziato dal mecenate Massoud Besharat ha già visto la donazione di fotografie d'autore grande formato a 320 scuole nel mondo, di cui 105 in Italia. L'iniziativa si è caratterizzata inizialmente per la collaborazione di Steve McCurry. Successivamente nel progetto sono subentrato io ed ho poi invitato alla partecipazione tre autori internazionali: David Lazar, Simon Lister e Hartmut Schwarzbach. Professionisti che come me partecipano a titolo totalmente gratuito. A chi leggendomi dovesse nutrire interesse in queste donazioni rivolgo l'invito a contattarmi. Tornando al tour, dalla Georgia ci spingeremo prima a sud ovest, poi a nord est ed infine ripartiremo da Atlanta.
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Saro Di Bartolo |
Angelo Zzaven: Quando si fotografano persone a colori, si fotografano i loro vestiti. Ma quando si fotografano persone in bianco e nero, si fotografano le loro anime! Cosa pensi di questa frase di Ted Grant?
Saro Di Bartolo: Sebbene questo suo pensiero non si può estendere a tutte le immagini di persone, credo vi sia della verità nelle parole di Grant. Con ciò intendo dire che, dal mio modesto punto di vista, il concetto è valido caso mai per le foto ravvicinate. Non però per tutti i soggetti, come del resto dimostrano le sue iconiche immagini di Ben Johnson a Seul. Non sono nessuno per potere contraddire il maggiore talento del fotogiornalismo che il Canada abbia prodotto, ma Grant diceva pure che i veri fotografi scattano in B&N, mangiano sushi e bevono Scotch single malt: una romantica definizione, con profumo di bohémienismo, che poteva emozionare decenni fa, ma non collima necessariamente con la realtà odierna.
Angelo Zzaven: Saro, la nostra chiacchierata è giunta alla fine. Sicuramente ci sono tante cose che non ti ho chiesto, domande che magari avresti voluto che ti facessi, ecco, vorrei chiederti di rispondere a una domanda che non ti ho fatto. Ti ringrazio di cuore per la disponibilità e l'attenzione.
Saro Di Bartolo: Innanzitutto, sono io a ringraziare altrettanto di cuore te caro Angelo, è stato un vero piacere! La domanda che non mi hai fatto? Potrebbero essere diverse, ma la prima che mi viene in mente è quella che mi è stata rivolta poche sere fa, quando ho avuto il piacere di essere invitato quale ospite dal Circolo Fotografico Ferretti di Jesi. Mi è stato chiesto quali consigli darei a chi si avvicina oggi al mondo della fotografia. La mia risposta è stata più o meno nei seguenti termini. Consideratevi dei privilegiati ad essere entrati in questo meraviglioso mondo nell’epoca del digitale e scattate, scattate, scattate, ma fatelo con intelligenza, sforzandovi sempre di capire cosa avete fatto e cosa potete fare per migliorare. Pur avendo io tenuto in alta considerazione la fotografia analogica, penso che quanti siano nati fotograficamente nell’era digitale siano per molti versi fortunati. Un tempo, per sapere come erano venute le foto di un viaggio o come era andata una sessione in sala da posa, dovevamo aspettare che la signora Kodachrome e le sue amiche pellicole tornassero dal laboratorio di sviluppo, cosa che significava attese molto lunghe, specie nei tempi più lontani.
Quante meraviglie si possono realizzare invece oggi coi programmi di post produzione … da usare però con “onestà”. Ricordo quando me ne stavo in camera oscura con un pennellino a colorare un minuscolo rettangolo di pellicola ortocromatica, con cui poi creare un sandwich insieme alla dia originale, da poi fotografare nuovamente. Oppure quando per renderne più saturi i colori riprendevo le diapositive col relativo duplicatore ...tanto per fare solo due esempi.
Resiste ancora oggi l’arcaica idea che sia la macchina a fare la foto. Lo slogan di George Eastman, fondatore della Kodak, era: “Voi premete il pulsante che al resto pensiamo noi”. Non mi meraviglio dunque di fronte alla solita domanda che regolarmente mi viene posta: “Lei che macchina ha per fare delle fotografie così belle”? Così come è vero che per fare una foto piacevole sotto il punto di vista della composizione ci vuole occhio, oggi è altrettanto vero che affidandosi agli automatismi è difficile sbagliare un’esposizione. Non perdetevi però sulla giostra dei marchi. È il fotografo che fa la foto.
Si racconta che, cenando nel ristorante di un famoso chef parigino, Cartier-Bresson gli abbia mostrato delle proprie fotografie che aveva con sé. Nel fargli i complimenti, lo chef esclamò: “Le sue foto sono straordinarie. Lei avrà certamente una ottima macchina fotografica”. Lui si limitò a sorridere. Poi, lasciando il ristorante, fece i meritati complimenti allo chef e stringendogli la mano aggiunse: “Lei avrà certamente delle ottime pentole”. Tutte le case offrono validi modelli di macchina fotografica, ma se volete veramente imparare a fotografare, evitate per carità il cellulare! Concentratevi sull’inquadratura, ma senza trascurare la tecnica. Oggi potete scattare e verificare subito cosa avete capito e cosa no, dunque, correggete e riprovate all'infinito. Ripeto, scattate quanto più potete... tanto oggi “la pellicola è gratis”!».
Ricordatevi che a fare delle foto valide non è il nome scritto sul pentaprisma, bensì tutto ciò che, partendo dal proprio cervello e passando dal cuore, arriva al dito indice. E’ lungo quel percorso di circa 130 centimetri che nasce una fotografia! A chi ha avuto la forza di leggere questa intervista fino alla fine, dico grazie e chiedo perdono di essermi dilungato.
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©Saro Di Bartolo ©Angelo Zzaven