MARIO CUCCHI
"... che senso ha oggi creare immagini fotografiche, quando milioni di fotografie vengono scattate ogni giorno, quando ormai tutti, dal bambino di pochi anni alla persona anziana, sono fotografi? La risposta per fortuna è sempre la stessa: si ha senso, ha molto senso!"
Angelo Zzaven: Mario ho conosciuto il tuo lavoro che ho apprezzato molto, durante la prima fase del progetto #leimmaginicheamo, quindi sono felice di poterne parlare in questa occasione... ma andiamo per ordine, prima vorrei conoscere qualcosa di te. Che cosa fai nella vita? Come ti sei avvicinato alla fotografia?
Mario Cucchi: Cosa faccio ora nella
vita? Mi dedico quasi completamente alla fotografia, non perché
grazie alla fotografia posso campare (cosa ormai difficile per tutti)
ma perché è diventata elemento indispensabile della mia esistenza.
Vivo grazie ad una pensione maturata in tanti anni di lavoro. Ed è
proprio il lavoro che ho fatto che mi ha poi avvicinato alla
fotografia come autore. Vicino alla fotografia, bene o male, ci sono
sempre stato perché, lavorando come Art Director in agenzie di
pubblicità, ho avuto la fortuna di collaborare con tanti fotografi
professionisti per realizzare le campagne pubblicitarie che
progettavo. E' stata questa la mia scuola, è stato come respirare un
fumo passivo, sul momento non ti rendi conto ma poi nel tempo senti
gli effetti.
Nel momento in cui, la creatività pubblicitaria non
mi bastava più e ho sentito il bisogno di imbracciare, in prima
persona, la macchina fotografica...gli effetti collaterali si sono
subito fatti sentire.
Angelo Zzaven: E dicono che il fumo passivo fa male... Nel tuo lavoro di Art Director progettavi campagne pubblicitarie, quanto incide questo aspetto nella genesi dei tuoi progetti autoriali di oggi?
Mario Cucchi: All’inizio rinnegavo l’esperienza pubblicitaria e cercavo modelli di riferimento in altri fotografi, ma non si può cancellare quello che sei e quello che sei è frutto del percorso che hai fatto. Capire che il bagaglio che mi portavo dietro non era un peso ma un valore mi ha permesso di individuare meglio quale era la direzione che dovevo seguire, una strada in cui, per comunicare, l’estetica viene rafforzata da una sintesi concettuale… per rispondere alla tua domanda: incide tantissimo.
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Angelo Zzaven: Quindi oggi non sbaglio di tanto se dico che il tuo prodotto sei “TU AUTORE” te stesso, La tua mente, le tue idee... e a quello che conosco di te posso dire che la tua è una mente brillante, capace di generare un progetto come “Flux fluida realtà”. Me ne parli?
Mario Cucchi: Flux, come tutti i miei progetti va legato a un particolare momento della mia vita, per me la fotografia è uno strumento, uno strumento per osservare meglio i fenomeni. Capire meglio, penso che significhi vivere meglio. Fotografando e poi osservando il movimento di alcuni oggetti, Flux mi ha aiutato ad accettare il continuo ed imprevedibile mutamento che la mia vita stava subendo. Cambiamo noi, cambiano le persone che ci stanno attorno, cambiano le situazioni…la stabilità è una illusione anche nelle situazioni più statiche. “La vita è uno scorrere continuo che ci illudiamo di arrestare, di fissare in forme stabili e determinate, dentro e fuori di noi”. Esiste un disegno finale ma è composto da innumerevoli cambiamenti, la fotografia, fissando in una forma tanti movimenti, rende tutto ciò molto chiaro.
Angelo Zzaven: In “facce della stessa medaglia” la luce diventa disegno, per far ciò ti servi di tecnica e fantasia. Come nasce questo lavoro? Qual è stata la scintilla iniziale? Mi parli del concetto che lo sorregge.
Mario Cucchi: Be, non a caso si dice che la fotografia è disegnare con la luce… Facce della stessa medaglia nasce dal desiderio di usare, appunto, la luce come metafora: la luce che “illumina” qualcosa di nascosto e che rende manifesto nature diverse, appunto facce diverse della stessa medaglia. L’oggetto è un ciondolo di latta che, fotografato con un tempo di posa lungo, da vita a questa sorta di galleria di ritratti latenti… una sorta di “illuminazione” che fa emergere dal buio ogni volta una personalità diversa.
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Angelo Zzaven: “... usare la luce come metafora” un di-svelamento di qualcosa che non esiste, tramite metafora visiva. Puoi aggiungere qualcosa a questo concetto?
Mario Cucchi: Uso un termine da me coniato per cercare di rendere esplicito quello che intendo: “Tecnicismo metaforico”, cioè usare degli aspetti tecnici per rafforzare il concetto che si vuole trasmettere. Luce e tempo di posa sono aspetti tecnici ma se, come in questo caso, servono per manifestare qualcosa che non è evidente ma bensì latente, secondo me, la tecnica diventa parte integrale della metafora.
Angelo Zzaven: Dalla tua biografia ho letto che hai frequentato Visual Design allo IED di Milano. Gli studi fatti in questo istituto ti sono serviti per accelerare l'accesso al lavoro? Consiglieresti a un giovane di ripercorrere la tua strada?
Mario Cucchi: Penso che la scuola possa servire soprattutto a dare una forte motivazione, i migliori insegnati sono quelli che con il loro esempio riescono a fare appassionare. La vera formazione poi è sul campo. A un giovane l’unico consiglio che mi sento di dare è di buttarsi a capofitto in ciò che ama.
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Angelo Zzaven: In alcuni dei tuoi lavori ho notato da parte tua, attenzione verso le problematiche ambientali. Mi puoi accennare qualcosa? Come vedi il futuro?
Mario Cucchi: La fotografia non può essere scollegata dalla vita e se c’è un aspetto che è legato alla vita è proprio la salute del pianeta. Ho affrontato questo tema soprattutto nel progetto Ozone, approfondendo ti rendi conto di quanto il problema sia serio e di quanto sia importante che anche la fotografia scenda in campo per dare il suo contributo alla sensibilizzazione sull’argomento. Ozone, usando appunto il “tecnicismo metaforico”, mette l’osservatore in soggettiva facendogli ammirare, metaforicamente attraverso il buco dell’ozono, la meraviglia che, nell’arco di qualche decennio andremo a perdere. Lo fa usando come lente i tappi delle bombolette spray, i gas propellenti sono stati tra le maggiori cause della formazione del buco, appunto una tecnica per rendere ancora più esplicita la metafora. Come vedo il futuro? …sinceramente non so ma spero di poterlo vedere sempre attraverso una macchina fotografica.
Angelo Zzaven: I tuoi oggetti di uso quotidiano reinterpretati con sorprendente dinamismo (Ritorno al lavoro Flux fluida realtà), si adagiano, comunque, in un perfetto equilibrio formale. Quanto è importante questo aspetto nelle tue immagini?
Mario Cucchi: Come hai visto dò molta importanza all’aspetto formale/estetico (anche se questa parola spesso fa inorridire parecchi fotografi). Secondo me l’estetica, che ci piaccia o no, è parte inseparabile in una immagine, la cosa veramente importante che sia inseparabile dalla parte concettuale, solo assieme rendono una immagine veramente forte e memorabile.
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Angelo Zzaven: Quali sono i progetti su cui stai lavorando e/o su cosa ti piacerebbe lavorare in futuro?
Mario Cucchi: Il progetto su cui sto lavorando, e penso di averne ancora per un po' è “C’est la vie…” Una riflessione sulla vita, sulla mia vita, o meglio una narrazione più ironica ma non per questo meno drammatica, di ciò che mi è successo, che mi succede e che probabilmente succede a tutti. Ostinarsi a non voler vedere le cose per quello che sono (le fette di salame sugli occhi), montarsi la testa ma per poi sentirsi spompati, giocare a giochi che finiscono sempre male, …e via dicendo. Per il momento sono 40 foto ma è un progetto ancora in corso, spero poi di ricavarne un libro.
Angelo Zzaven: Mario ti faccio l'ultima domanda, non prima di averti ringraziato per la disponibilità e la collaborazione. Vorrei che rispondessi a una domanda che non ti ho fatto.
Mario Cucchi: E’ una domanda che mi faccio spesso e che mi serve per mapparmi e andare avanti nel mio percorso: che senso ha oggi creare immagini fotografiche, quando milioni di fotografie vengono scattate ogni giorno, quando ormai tutti, dal bambino di pochi anni alla persona anziana, sono fotografi? La risposta per fortuna è sempre la stessa: Si ha senso, ha molto senso! Grazie di cuore Angelo per la chiacchierata.
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