CARLO FERRARA

 “Negli ultimi 4 anni, mi sono dato un metodo, io esco a fotografare... una volta a settimana, 90% delle volte la domenica mattina dalle 7:30 alle 11:00/11:30. TUTTE le domeniche mattina. Pioggia, vento, neve, sole, nuvole… non importa. Un po’ di buona musica in macchina e via, alla ricerca di scorci stimoli e situazioni”


Angelo Zzaven: Carlo, cosa fai nella vita? Come nasci fotograficamente? Che cosa ti ha spinto a operare nel mondo delle immagini?

Carlo Ferrara: ... Angelo. Sembra difficile già la prima domanda. E' una delle più comuni, ma se ci pensi bene, è una delle più complesse. E' anche la domanda su cui baso molte delle mie immagini. Cosa faccio, cosa sono, cosa vorrei fare... ma se cominciamo così, l'intervista vien lunga.

Ed allora posso dire che nella vita sono un Papà di due bimbi ed un marito, un impiegato tecnico presso una multinazionale alimentare, un appassionato di fotografia. Un figlio, fortunato, di due genitori settantasettenni.
I primi approcci con la fotografia sono generazionali, come quelli di molti. Perché le macchine fotografiche, in casa, le avevano tutti. Anche mio padre. Ma la vera scintilla, per me, è il digitale. Non vedo perché dovrei nasconderlo. E' grazie alle prime due macchinette digitali se oggi stampo (per diletto) in camera oscura o in cianotipia. Sono state il tramite. Le cito per ricordo la Canon A65 e la Nikon D40x. Da loro, poi, la curiosità, la scoperta, la riscoperta. Insomma sono stati gli apparati che mi hanno fatto capire che avevo bisogno di esprimermi per immagini. Esprimere i miei dubbi nel tentativo di capire se intorno a me ci fosse qualcuno con cui condividerli. Ricordo le tappe del percorso, come fosse ieri. Alcune fissate da me, in precedenza. Altre capite a posteriori. Ed il piacere è sapere che ne incontrerò altre.

Carlo Ferrara

Angelo Zzaven: Carlo devo essere sincero, conosco poco di te quindi anche le informazioni di base che hai fornito sono importanti. Sono state le tue immagini riprese dall'alto a spingermi verso di te, come arrivi a questa idea? Mi parli dell'eventuale concetto che le sorregge?

Carlo Ferrara: Volentieri. Partiamo dalla fine. Ho ancora molto da esplorare con i piedi per terra, ma l'idea di osservare anche dall'alto mi ha sempre affascinato. Il drone, una nuova possibilità. Dai primi, in cui "sognavo" di montare la mia macchina fotografica, a questi ultimi, ovvero quelli che mi son potuto permettere. Quindi c'è un accumulo di idee regresse. Vista la semplicità del mezzo (davvero semplice), un po' di esperienza fotografica, appena l'ho fatto volare, si è materializzato il tutto. Che continua, naturalmente.

Sono un Surrealista, un fotografo Surrealista. Mi son scoperto tale, lungo le tappe che descrivevo prima. E in questa commistione di fotografia e corrente artistica, lo sfondo delle immagini diventa parte integrante del connubio. E' l'invito dell'autore ad osservare con altre prospettive il mondo. E' il modo di approccio, come gli orologi molli e i frutti di fronte sulla faccia. E' la chiave per aprire la porta al Surrealismo, appunto. Ed anche una vena di originalità. Unicità non credo, chissà quanti prima di me hanno sperimentato cose simili.

Angelo Zzaven: Come si è nutrito il tuo sguardo surreale, quali artisti, non necessariamente della fotografia hanno indirizzato la tua creatività?

Carlo Ferrara: Il surrealismo è una corrente vasta e continua nel tempo. Anche Breton, il suo fondatore, l’ha rivista più volte. Riferimenti quindi c’è n’è sono molti. I miei sono sostanzialmente tre. In tre generi/ tecniche diversi. Calvino è il riferimento letterario. Magritte quello pittorico e Rodney Smith quello fotografico. Attingo a larghe mani! Onestà per onestà, un quarto elemento influenza me e il mio surrealismo, ovvero la musica. Cantautorale, se posso. Nelle loro metafore si nasconde un mondo surreale, che le note e l’armonia riescono a svegliare nell’ascoltatore.

Carlo Ferrara

Angelo Zzaven: Quali sono gli strumenti di cui ti servi per le riprese aeree?

Carlo Ferrara: Prima di comprare, mi piace informarmi. Leggere esperienze su forum e riviste, di altri appassionati. Comprare l’usato ha questo vantaggio. Così mi sono diretto sul drone DJI MAVIC MINI 1. Il primo della sua specie, con giroscopio e 12mpx di fotocamera. Per cominciare, è perfetto. Non serve la patente, serve l’assicurazione. Ha le limitazioni impostate e ti informa se provi ad infrangerle. È estremamente intuitivo nel pilotaggio. Soprattutto, della sua specie, è stabile. Perché senza stabilità non sarebbe utilizzabile.

Angelo Zzaven: Carlo, hai avuto riconoscimenti per questi lavori? Pubblicazioni su riviste, libri?

Carlo Ferrara: Per i lavori col drone no. Siamo agli inizi, devo fare una messa a fuoco fine sui lavori e sul progetto. In passato, ho pubblicato libri fotografici, ho fatto mostre e concorsi. Ho fotografie un po’ dappertutto.

Carlo Ferrara

Angelo Zzaven: Hai detto che hai pubblicato dei libri fotografici, me ne vuoi parlare?

Carlo Ferrara: Volentieri. Sono tre libri fotografici, più precisamente tre romanzi fotografici. Il primo “SEI GIORNI” è la storia di una persona (sempre io ovviamente l’interprete) che in sei giorni cambia la sua vita. E’ composto da 36 immagini “girate” in luoghi abbandonati (Urbex) ovvero 6 immagini per ogni giorno, 5 orizzontali e l’ultima quadrata. Il primo libro non si scorda mai, ma l’esigenza di narrare per immagini mi ha portato al secondo (QUATTRO BREVI STORIE) in cui il personaggio comincia ad uscire dall’urbex per incontrare ciò che lo circonda. Questo libro è stato stampato in 99 esemplari e non è più disponibile. Per terzo è arrivato CONFINI in cui “Carletto” esce definitivamente allo scoperto ampliando il concetto di cambiamento, espresso già nei primi due libri. Permettimi un doveroso grazie alla casa editrice Epokè, che ha creduto e voluto questo trittico.

Adesso siamo al quarto “NESSUNO E’ PETER PAN” in uscita nel 2023. Un lavoro più Surrealista. Diciotto dittici composti da trentasei immagini più la foto di chiusura e le due copertine. Il quinto? Uscirà dall’esperienza col drone.
Mi piace pubblicare libri. Se una foto singola, come sovente si dice, ha il compito di raccontare, un insieme di immagini correlate racconta meglio ciò che si vuol dire.

Angelo Zzaven: Mi piace molto il tuo approccio alla fotografia, intenso, mentale, ma anche giocoso, leggero. Fare fotografia cosa rappresenta realmente per te?

Carlo Ferrara: Domanda bomba! Mica facile descrivere tutte le emozioni che vivo grazie alla fotografia. Perché son tante, su piani e livelli differenti. I mezzi che uso e la curiosità di scoprirli (dalle macchine analogiche al drone, passando per tutte le digitali), i momenti di condivisione con altri appassionati, gli incontri e le discussioni con autori affermati, il circolo fotografico che ho fondato nel mio paese con altri tre amici (Oltregiogofotografia), la post produzione, lo studio. Ma il piano ed il livello superiore è il “periodo” in cui esco a fotografare. Cosa intendo per Periodo. Negli ultimi 4 anni, mi sono dato un metodo. Io esco a fotografare (in linea di massima e con le eccezioni del caso) una volta a settimana, 90% delle volte alla Domenica mattina dalle 7:30 alle 11:00/11:30. TUTTE le Domeniche mattina. Pioggia, vento, neve, sole, nuvole… non importa. Un po’ di buona musica in macchina e via, alla ricerca di scorci stimoli e situazioni. Ad ogni condizione meteo, quindi ad ogni tipologia di luce, adatto il personaggio e il mezzo fotografico. Per puro esempio, mi sono dotato di una custodia subacquea e della sua macchina fotografica - una piccola Canon S95 usata - per poter scattare sotto la pioggia oppure per sfruttare lo specchio d’acqua creato dalle pozzanghere, immergendovi la custodia.

Il piacere di fotografare, per me, non risiede nell’immagine creata, ma in tutto il tempo necessario a crearla. Prima, durante e dopo. Prima tutti i pensieri per immaginarla. Poi le magnifiche 3 o 4 ore passate alla ricerca. Infine lo sviluppo. Questo processo, ad oggi, è in me una necessità; capita, per salute o esigenze famigliari, di saltare l’appuntamento settimanale con l’uscita fotografica. Ecco, non possono passarne più d’uno, perché poi inizio a intristirmi e a diventare irascibile. Non ho mai smesso, neanche durante le restrizioni Covid. Sveglia alle 07:00, colazione e poi un po’ in giardino con cavalletto e macchina fotografica. Qualche cosa è venuto.

Carlo Ferrara

Angelo Zzaven: L'uso dell'autoritratto nelle tue immagini è una costante importante, anzi aggiungerei essenziale. Mi piacerebbe capire di più su questa tua continua autorappresentazione?

Carlo Ferrara: Non ne ho la certezza, ma se non mi autoriprendessi, qualche seduta di psicanalisi sarei andato a farla. E’ cominciato tutto per utilità fotografica pratica ed ha evoluto verso una profonda autoanalisi. Agli esordi delle mie esplorazioni Urbex, sentivo l’esigenza di inserire una figura umana nelle immagini, probabilmente traviato dalle foto di Francesca Woodmans. Ma alla Domenica mattina alle 08:00 di Febbraio, quale modella/o viene con me a far foto? Nessuno. Quindi di necessità virtù. Cavalletto e autoscatto. Queste le origini; e ogni foto mi svelava qualche cosa di me che non conoscevo, che mi spaventava, che mi interrogava. Adesso siamo ad un punto più avanzato. Perché, dopo essermi conosciuto (anche se non si finisce mai), ho cominciato a paragonarmi con il resto del mondo. Ho capito che siamo esseri complessi e difficili ma accomunati da esigenze e dogmi ancestrali.

Angelo Zzaven: Un'ottima attrezzatura, le idee o la luce. Se sei costretto a scegliere, di che cosa pensi di poter fare a meno nella tua fotografia? E perché?

Carlo Ferrara: Una classifica di utilità per la creazione delle mie immagini, considerando che l’importanza è di tutti e tre gli elementi: all’ultimo posto l’attrezzatura. Tutto sommato per fermare le idee, potrei usare un foro stenopeico.

Medaglia d’ argento per le idee. Per quanto brucia la passione, penso potrei fotografare stereotipi fino alla fine dei tempi. The winner is… Luce. Senza di Lei e le sue antagoniste, il secondo e il terzo sarebbero inutili.

Carlo Ferrara

Angelo Zzaven: Carlo, la nostra chiacchierata volge al termine. Sicuramente ci sono tante cose che non ti ho chiesto, domande che magari avresti voluto che ti facessi, ecco, vorrei chiederti di rispondere a una domanda che non ti ho fatto. Ti ringrazio di cuore per tutto.

Carlo Ferrara: La prossima volta, intervista live, con un caffè o un aperitivo sul tavolo. Le tue domande sono state precise, intelligenti e hanno toccato molti punti del mio fotografare. Cosa aggiungere. Perché sempre bianco e nero? Lo studio da tanto, è un processo complicato; si riassume spesso: bisogna vedere in bianco e nero. Per me, meglio dire, bisogna vedere a colori sapendo come questi restituiranno il bianco e nero. Sottile differenza, ma indicativo dell’esperienza necessaria a creare un buon bianco e nero. Concettualmente invece, a chi mi chiede perché BN, rispondo semplicemente: mi piace. Credo una delle due derivazioni delle letture giovanili di Dylan Dog (a cui devo anche l’abbigliamento rituale, ormai lo stesso dal 2010… e non vi dico con che cura chiedo a mia moglie di lavarli). Ovviamente anche le giuste e comuni valenze date al BN, quali l’importanza di annullare altri punti di interesse come i contrasti cromatici oppure l’empatia dei neri nella luce, fanno parte della scelta; ma la vera verità è che mi piace il BN.

Grazie. Per le tue domande, la tua pazienza e la tua disponibilità. Scusa. Per i ritardi e il mio Italiano così così. Con la tua intervista ho scavato nella mia fotografia. E’ sempre una grande esperienza formativa. Che dire se non GRAZIE!!!


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